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Patteggiamento in appello: limiti del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi presentati da tre imputati dopo un accordo sulla pena in secondo grado, noto come patteggiamento in appello. La Corte chiarisce che, una volta raggiunto l’accordo, non è possibile contestare né la misura della pena concordata, né la mancata motivazione del giudice sulle cause di proscioglimento. L’adesione al patteggiamento implica una rinuncia ai relativi motivi di appello, limitando la possibilità di un successivo ricorso.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’istituto del patteggiamento in appello rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza, che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Tuttavia, quali sono le conseguenze di tale accordo sulla possibilità di presentare un successivo ricorso in Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte chiarisce i limiti invalicabili posti da questa scelta difensiva, sanzionando con l’inammissibilità i ricorsi che ne ignorano la natura.

I Fatti del Caso

Tre individui, condannati per reati legati agli stupefacenti, raggiungevano un accordo con la Procura Generale presso la Corte d’Appello per la rideterminazione della pena. Nonostante l’accordo, presentavano separati ricorsi per Cassazione, lamentando diverse violazioni di legge. Uno contestava la mancata motivazione sull’assenza di cause di non punibilità e l’inadeguatezza della pena; un altro il vizio di motivazione sui criteri di commisurazione della pena; il terzo, infine, l’omessa motivazione sulle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.

Patteggiamento in Appello e Inammissibilità: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio cardine del patteggiamento in appello: l’accordo sulla pena implica una rinuncia implicita a contestare i punti che ne sono oggetto. Di conseguenza, il successivo ricorso non può vertere su aspetti coperti dall’accordo stesso.

Limiti alla Motivazione del Giudice d’Appello

Il Collegio ha ribadito che, quando il giudice di secondo grado accoglie una richiesta di pena concordata, non è tenuto a fornire una motivazione specifica né sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., né sull’insussistenza di nullità assolute o di cause di inutilizzabilità delle prove. La cognizione del giudice è circoscritta ai motivi di appello che non sono stati oggetto di rinuncia a seguito dell’accordo.

L’Effetto della Rinuncia ai Motivi di Appello

L’accordo processuale sulla pena ha un preciso effetto devolutivo: una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di appello per accordarsi sulla sanzione, il campo di indagine del giudice si restringe drasticamente. A maggior ragione, ha sottolineato la Corte, il giudice non deve motivare in merito alla pena, poiché questa è stata il risultato della volontà concorde delle parti. Contestare tali aspetti in Cassazione si traduce in un’azione processuale priva di fondamento giuridico.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Suprema Corte si basa sulla logica e sulla funzione del patteggiamento in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017. L’istituto mira a definire il processo in modo più celere, offrendo all’imputato la certezza di una pena concordata in cambio della rinuncia a portare avanti determinate contestazioni. Permettere un ricorso successivo su punti che sono stati oggetto dell’accordo svuoterebbe di significato l’istituto stesso. L’effetto devolutivo dell’impugnazione è limitato dalla volontà delle parti: se l’imputato accetta una pena, non può poi dolersi della sua applicazione o della mancata valutazione di alternative (come il proscioglimento) che ha implicitamente escluso con la sua stessa richiesta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per la pratica forense. La scelta di accedere al patteggiamento in appello è una decisione strategica che deve essere attentamente ponderata. Se da un lato offre il vantaggio di una definizione concordata della sanzione, dall’altro preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso per Cassazione. Gli unici motivi di ricorso che potrebbero residuare sono quelli estranei all’accordo, come vizi procedurali relativi alla formazione della volontà delle parti o all’applicazione di una pena illegale. Pertanto, l’imputato e il suo difensore devono essere pienamente consapevoli che, una volta siglato l’accordo, la via per un’ulteriore impugnazione nel merito è, nella maggior parte dei casi, definitivamente chiusa, con la conseguenza, in caso di ricorso inammissibile, della condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Dopo aver concordato un patteggiamento in appello, è possibile ricorrere in Cassazione per contestare l’entità della pena?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la pena concordata è il risultato di un accordo tra le parti. Pertanto, accettando il patteggiamento, l’imputato rinuncia a contestare la misura della pena, e un eventuale ricorso su questo punto è inammissibile.

Il giudice che ratifica un patteggiamento in appello deve motivare la mancata assoluzione dell’imputato?
No. L’ordinanza chiarisce che il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 del codice di procedura penale, poiché la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia.

Quali sono le conseguenze se un ricorso presentato dopo un patteggiamento in appello viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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