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Patteggiamento in appello: limiti del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver concluso un accordo sulla pena in secondo grado (c.d. patteggiamento in appello), lamentava la mancata motivazione sull’assenza di cause di proscioglimento. La Corte ribadisce che, aderendo all’accordo, l’imputato rinuncia ai relativi motivi di appello, limitando la cognizione del giudice alla sola ratifica del patto, senza obbligo di motivare su altri aspetti.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103 del 2017 e disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili posti da tale accordo al successivo ricorso, in particolare riguardo all’obbligo di motivazione del giudice. Analizziamo la decisione e le sue importanti implicazioni pratiche.

I fatti del caso: l’accordo in secondo grado

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Foggia per reati legati agli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale raggiungevano un accordo sulla rideterminazione della pena. La Corte d’appello di Bari, recependo l’accordo, riduceva la condanna a sei mesi e venti giorni di reclusione e 1.000 euro di multa.

Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che la Corte d’appello avesse omesso di motivare sulla sussistenza di eventuali cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., che il giudice è tenuto a valutare in ogni stato e grado del procedimento.

La decisione della Cassazione e i limiti del patteggiamento in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, aderendo a un principio giuridico consolidato (ius receptum). I giudici hanno chiarito che la natura stessa del patteggiamento in appello modula profondamente i poteri del giudice e i diritti dell’imputato.

La rinuncia ai motivi come limite alla cognizione del giudice

L’elemento centrale della decisione risiede nell’effetto devolutivo dell’impugnazione. Quando l’imputato sceglie di accedere al patteggiamento in appello, di fatto rinuncia ai motivi di gravame che non riguardano l’accordo sulla pena. Questa rinuncia limita la cognizione del giudice di secondo grado, il quale è chiamato unicamente a verificare la correttezza dell’accordo raggiunto tra le parti.

Di conseguenza, il giudice d’appello non è tenuto a fornire una motivazione specifica né sulla mancata applicazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., né sull’insussistenza di circostanze aggravanti. La volontà dell’imputato di definire il processo con un accordo sulla pena prevale, confinando l’analisi del giudice ai soli termini del patto.

Le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità

La genericità della doglianza, che si scontra con un principio ormai pacifico in giurisprudenza, ha portato all’inevitabile declaratoria di inammissibilità. Coerentemente con quanto previsto dall’art. 616 c.p.p. e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, non essendo emersi elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando precedenti conformi che hanno già stabilito come l’accordo ex art. 599-bis c.p.p. comporti una rinuncia implicita ai motivi di appello non strettamente legati alla quantificazione della pena. L’effetto devolutivo, in questo contesto, circoscrive l’oggetto del giudizio alla sola ratifica dell’accordo. Pertanto, un ricorso in Cassazione che lamenti la mancanza di motivazione su punti ai quali l’imputato ha implicitamente rinunciato è privo di fondamento e, come tale, irricevibile. Il ricorso è stato considerato generico proprio perché non teneva conto di questa consolidata interpretazione della norma.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Principio

Questa ordinanza rafforza un punto fermo nella procedura penale: la scelta del patteggiamento in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive. L’imputato che accetta di accordarsi sulla pena deve essere consapevole che sta abdicando alla possibilità di far valere altre doglianze, incluse quelle relative a un potenziale proscioglimento nel merito. Il ricorso in Cassazione, in questi casi, è ammissibile solo per vizi attinenti alla formazione dell’accordo o alla sua legalità, ma non per riesaminare questioni di merito implicitamente abbandonate con la richiesta di patteggiamento.

Dopo un ‘patteggiamento in appello’, il giudice deve motivare perché non ha prosciolto l’imputato?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che, a seguito dell’accordo, il giudice di secondo grado non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen.

Cosa comporta la scelta di un imputato di aderire al patteggiamento in appello?
Comporta una rinuncia ai motivi di appello non oggetto dell’accordo. Di conseguenza, la cognizione del giudice è limitata alla verifica e ratifica dell’accordo sulla pena, senza estendersi ad altri punti del processo.

Quali sono le conseguenze se si propone un ricorso in Cassazione per motivi a cui si è implicitamente rinunciato con il patteggiamento in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel caso di specie in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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