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Patteggiamento in appello: limiti del giudice

Un imputato, dopo aver concordato una riduzione di pena tramite patteggiamento in appello per reati di droga, ricorre in Cassazione lamentando la mancata valutazione di una causa di assoluzione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, stabilendo che nel patteggiamento in appello, a seguito della rinuncia ai motivi, il giudice non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p., poiché la sua cognizione è limitata ai punti concordati tra le parti.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Giudice Non Deve Motivare sull’Assoluzione

Il patteggiamento in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi su una parziale riforma della sentenza di primo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6489/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale sui poteri e doveri del giudice in questo contesto, specificando i limiti della sua cognizione. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo grado per concorso in spaccio di sostanze stupefacenti. In sede di appello, l’imputato e la procura generale raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. per una rideterminazione della pena, che veniva così ridotta a quattro anni e due mesi di reclusione e 20.000 euro di multa. Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione: a suo dire, la Corte d’Appello non aveva spiegato perché non avesse applicato una delle cause di proscioglimento immediato previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.

L’Analisi della Corte sul patteggiamento in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire la natura e gli effetti del patteggiamento in appello. La procedura si basa su un accordo con cui le parti chiedono l’accoglimento di alcuni motivi di appello, rinunciando contestualmente agli altri. Questo accordo ha un effetto diretto sui poteri del giudice di secondo grado.

In virtù del principio devolutivo, tipico delle impugnazioni, la cognizione del giudice è limitata ai punti della decisione che sono stati oggetto di critica. Quando l’imputato rinuncia a determinati motivi per raggiungere un accordo sulla pena, restringe volontariamente l’ambito del giudizio d’appello. Di conseguenza, il giudice non è tenuto a esaminare questioni che esulano da tale accordo.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha chiarito in modo netto che, nel contesto di un patteggiamento in appello, il giudice che accoglie la richiesta di pena concordata non ha l’obbligo di motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (come l’evidenza che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso).

Questo perché, una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi di appello che non sono stati oggetto dell’accordo, la cognizione del giudice è circoscritta esclusivamente a questi ultimi. Non vi è, pertanto, spazio per una valutazione d’ufficio su cause di non punibilità che non siano state dedotte o che siano state implicitamente superate dalla scelta processuale dell’imputato. La Corte ha inoltre sottolineato che, nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva comunque fornito un adeguato riscontro sui profili di responsabilità, escludendo di fatto l’esistenza di ragioni per un proscioglimento immediato.

Conclusioni

La pronuncia consolida un importante principio sulla procedura di patteggiamento in appello. Scegliere questa via processuale è una decisione strategica che comporta benefici (come una pena certa e più mite) ma anche precise rinunce. L’imputato, accettando di limitare il perimetro del giudizio d’appello, non può successivamente lamentare la mancata valutazione da parte del giudice di questioni a cui ha implicitamente rinunciato. La decisione rafforza la natura consensuale dell’istituto, garantendo al contempo la coerenza del sistema processuale e l’efficienza del giudizio di secondo grado.

Cos’è il patteggiamento in appello?
È una procedura prevista dall’art. 599-bis c.p.p. con cui le parti (accusa e difesa) si accordano sull’accoglimento di alcuni motivi di appello, rinunciando agli altri. Se l’accordo riguarda la pena, questa viene concordata e sottoposta al giudice per la ratifica.

Nel patteggiamento in appello, il giudice deve motivare perché non assolve l’imputato?
No. Secondo la Cassazione, quando il giudice accoglie la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., poiché la rinuncia ai motivi di appello limita la sua cognizione ai soli punti oggetto dell’accordo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché sollevava una questione – la mancata motivazione sull’assoluzione ex art. 129 c.p.p. – che non è pertinente nel contesto del patteggiamento in appello, dato che l’accordo tra le parti e la conseguente rinuncia ad altri motivi limitano il potere di valutazione del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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