Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33533 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33533 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato il DATA_NASCITA a Catania;
NOME, nato il DATA_NASCITA a Catania;
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Catania;
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Catania;
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Catania avverso la sentenza del 22/10/2024 dalla Corte di appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME, che chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 07/03/2023, aveva condannato:
NOME COGNOME, in qualità di capo, per associazione volta al narcotraffico (ar 74, commi 1 e 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e per i reati fine di cui ai capi A) e B);
NOME COGNOME, in qualità di partecipe, per associazione volta al narcotraffico (art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) (capo A), e per i reati fine di cui ai capi B), D) e E);
NOME COGNOME, in qualità di partecipe, per associazione volta al narcotraffico (art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) (capo A) e per il reato fine di cui al capo B);
NOME COGNOME, in qualità di partecipe, per associazione volta al narcotraffico (art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) (capo A) e per il reato fine di cui al capo B);
NOME COGNOME per i reati di spaccio di cui ai capi H) e I).
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Catania accoglieva la richiesta di concordato in appello delle parti e, previa riqualificazione del fatto d cui all’art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in quello di cui al comma 6 dello stesso articolo (“piccola associazione”) per NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, applicata la riduzione di pena prevista per il rito, rideterminava la pena nella misura concordata tra le parti, condannando: NOME COGNOME a quattro anni e dieci mesi di reclusione; NOME COGNOME a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione; NOME COGNOME a tre anni e due mesi di reclusione; NOME COGNOME a tre anni e quattro mesi di reclusione; NOME COGNOME ad un anno, otto mesi di reclusione e € 3.000 di multa, sostituita con la detenzione domiciliare per un periodo di analoga durata.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo due motivi di ricorso.
3.1. Violazione di legge quanto alla determinazione della pena.
La pena per il reato di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit. è stata fissata nel massimo edittale in mancanza di giustificazione, senza valorizzare il comportamento processuale dell’imputato, che ha ammesso immediatamente i fatti e fornito sulla loro dinamica dettagli coincidenti con quanto riconosciuto dalla Corte territoriale in punto di nuova qualificazione come “piccola associazione”. La pena è dunque illegittima.
3.2. Violazione di legge in ordine alla determinazione della pena.
Per errore materiale, non sono state concesse le circostanze attenuanti generiche. Nella sentenza di primo grado, tra gli imputati cui sono state concesse le circostanze attenuanti generiche non compare il nome di COGNOME, così come COGNOME non compare tra i soggetti elencati e ritenuti meritevoli della diminuente, sebbene anch’egli abbia ammesso i fatti e sia affetto da un forte stato di depressione.
Per il tramite dell’AVV_NOTAIO, ha presentato ricorso NOME COGNOME, deducendo, con un motivo unico, erronea applicazione ed interpretazione della legge penale, nonché vizio di motivazione.
La pena concordata non è adeguatamente motivata. La Corte d’appello nemmeno ha verificato se vi fossero vizi di forma o addirittura circostanze importanti ai fini di una diversa e più verosimile ricostruzione dei fatti, tali condurre al proscioglimento.
NOME COGNOME ha presentato ricorso per il tramite degli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, deducendo, con un unico motivo, l’erronea qualificazione giuridica della fattispecie.
Il fatto avrebbe dovuto essere giudicato ai sensi degli artt. 110, 73 d.P.R. 309 del 1990 cit., e non come partecipazione al reato associativo, essendo stato il contributo dell’imputato sporadico e non caratterizzato da affectio societatis.
Anche NOME COGNOME ha presentato ricorso per il tramite dei medesimi avvocati, deducendo un motivo analogo.
Ha presentato ricorso, infine, NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo due motivi.
7.1. Illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 62, legge 23 giugno 2017, n. 103, e 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.
L’art. 1, comma 62, legge 23 giugno 2017, n. 103, ha aggiunto nell’art. 610 cod. proc. pen. il comma 5-bis, ammettendo la Corte di cassazione a dichiarare senza formalità di procedura l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza pronunciata a norma dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Tuttavia, stante il carattere costituzionale del controllo di legalità, ta disposizione si pone in conflitto con i principi di ragionevolezza e del giusto processo, sicché va sollevata questione di legittimità costituzionale della disposizione.
7.2. Errata qualificazione giuridica dei fatti.
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La Corte d’appello non ha ritenuto di procedere alla riqualificazione del fatto in “lieve”, appiattendosi, senza motivare, sulla valutazione del Giudice di primo grado, sebbene le condotte fossero del tutto rudimentali e prive di organizzazione, configurandosi come minimamente offensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Premesso che la sentenza impugnata, pronunciata ex art. 599 cod. proc. pen., specifica come gli imputati avessero rinunciato a tutti i motivi di appello diversi da quelli relativi al trattamento sanzionatorio e di cui alle richiest specificamente indicate, la richiesta di NOME COGNOME era la seguente: «riqualificato il reato associativo in lieve, anni sette di reclusione, aumentati per la continuazione interna in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, di ulteriori mesi 3, e così complessivamente anni 7 e mesi 3 di reclusione; pena ridotta di un terzo per il rito nella misura finale di anni 4 e mesi 10 di reclusione; revoca della libertà vigilata».
A tale richiesta, concordata con il Pubblico Ministero e di cui è puntualmente valutata la congruità, la Corte d’appello si è precisamente attenuta.
Di conseguenza, il primo motivo è manifestamente infondato.
1.2. Quanto, poi, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche – che, come noto, discende da un apprezzamento tecnicamente discrezionale del giudice, non sussistendo un diritto dell’imputato all’applicazione dell’art. 62 -bis cod. pen. – non si ravvisa alcun errore materiale. Premesso che, a differenza di quanto disposto per altri imputati, le attenuanti generiche non erano state riconosciute in primo grado a COGNOME (cui nell’organizzazione è riconosciuto il ruolo apicale), esse nemmeno rientravano, oltretutto, nella (su riportata) richiesta.
Anche il secondo motivo è, pertanto, sotto plurimi aspetti, inammissibile.
2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
In disparte l’evidente aspecificità dell’unico motivo di cui consta, rappresenta insegnamento pacifico di legittimità quello secondo cui, in tema di “patteggiamento in appello” come reintrodotto ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, i quanto, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata
ai motivi non oggetto dì rinuncia (ex mulds, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522).
Tale principio vale pacificamente altresì in riferimento alla qualificazion giuridica dei fatti (per tutte, Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196).
Devono quindi dichiararsi inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Passando ad analizzare l’impugnazione di NOME COGNOME, va rilevato quanto segue.
4.1. Il primo motivo è inammissibile, nemmeno comprendendosi, invero, quale interesse abbia il ricorrente a dedurlo anticipatamente quante volte, come in questo caso, alla procedura de plano non si faccia ricorso.
Comunque, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 610, comma 5bis, cod. proc. pen. nella parte che prevede la procedura de plano per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le sentenz pronunciate a norma dell’art. 599-bis cod. proc. pen., è già stata riten manifestamente infondata da questa Corte, la quale ha – con giudizio condiviso da questo Collegio – rilevato la ragionevolezza della scelta legislativa semplificare le forme definitorie dell’impugnazione proposta avverso una decisione che accoglie la concorde prospettazione delle parti e perché avverso la decisione di inammissibilità è comunque esperibile il ricorso straordinario previsto dall’a 625-bis, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 40139 del 21/06/2018, COGNOME Rv. 273920. Analogamente, Sez. 1, Ord. n. 32989 del 02/07/2018, COGNOME, Rv. 273856). Sicché il motivo appare anche manifestamente infondato.
4.2. Il secondo motivo è del pari inammissibile, dovendosi ribadire che, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194), la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle q l’interessato abbia rinunciato – come nella specie in relazione ai motivi su responsabilità – in funzione dell’accordo sulla pena, limita non solo la cognizio del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgiment processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità.
4.3. Anche il ricorso di COGNOME è, dunque, inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento
delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2025