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Patteggiamento in appello: limiti al ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di “patteggiamento in appello” per spaccio di stupefacenti. La Corte chiarisce che l’accordo sulla pena implica la rinuncia ai motivi di appello, limitando la cognizione del giudice e rendendo non necessario motivare sul mancato proscioglimento. Il ricorso è stato inoltre ritenuto generico, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’istituto del patteggiamento in appello, reintrodotto con la riforma Orlando del 2017, rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza strategica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7569/2024, offre un’importante lezione sui limiti e le conseguenze di tale scelta. La Suprema Corte ha infatti chiarito che l’accordo sulla pena in secondo grado comporta una rinuncia ai motivi d’appello, rendendo il successivo ricorso per cassazione un percorso ad ostacoli, spesso destinato all’inammissibilità.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato in appello a seguito di un accordo con la Procura per detenzione a fini di spaccio di un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti (nello specifico, 521 dosi di hashish e 96 di cocaina). Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un presunto “vizio di motivazione” sia riguardo all’accertamento della sua responsabilità penale, sia in merito alla quantificazione della pena concordata.

La Disciplina del Patteggiamento in Appello e i Limiti al Controllo del Giudice

Il cuore della questione giuridica risiede nella natura stessa del patteggiamento in appello. La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha ribadito un principio consolidato. Quando le parti raggiungono un accordo sulla pena da applicare in secondo grado, si verifica un effetto processuale ben preciso: la rinuncia ai motivi che avevano originariamente sostenuto l’appello.

In virtù dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, la cognizione del giudice d’appello, e di conseguenza quella della Cassazione, viene circoscritta ai soli aspetti non coperti dalla rinuncia. Pertanto, il giudice che ratifica il patteggiamento non è tenuto a fornire una motivazione dettagliata sul perché non abbia prosciolto l’imputato secondo le cause previste dall’art. 129 del codice di procedura penale, né a pronunciarsi sull’eventuale inutilizzabilità delle prove. L’accordo stesso presuppone una tacita ammissione della validità del quadro probatorio e un’accettazione del giudizio di colpevolezza.

Le Motivazioni della Cassazione: Inammissibilità per Genericità e Rinuncia

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali.

In primo luogo, ha sottolineato come la scelta del patteggiamento in appello limiti drasticamente i possibili motivi di ricorso successivi. L’imputato, accettando la pena concordata, rinuncia di fatto a contestare il merito della decisione. Di conseguenza, il giudice non deve più motivare sul mancato proscioglimento, poiché la cognizione è limitata ai punti non oggetto di rinuncia.

In secondo luogo, il ricorso è stato giudicato generico. L’imputato si era limitato a lamentare un'”assenza di motivazione” che, al contrario, la Corte ha ritenuto “molto dettagliata” nel provvedimento impugnato. Un ricorso per cassazione deve articolare doglianze specifiche e puntuali, non potendo basarsi su una critica generica dell’operato del giudice di merito, specialmente dopo aver stretto un accordo sulla pena.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione

L’ordinanza in esame conferma che la via del patteggiamento, sebbene vantaggiosa per ottenere una riduzione di pena, è una scelta che chiude definitivamente molte porte processuali. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa decisione serve da monito: prima di accedere al patteggiamento in appello, è fondamentale una valutazione attenta e consapevole con il proprio difensore, poiché tale scelta implica una rinuncia quasi totale a future contestazioni sulla responsabilità e sulla validità delle prove, con il rischio, in caso di un ricorso infondato, di subire ulteriori conseguenze economiche.

Quando si accetta un “patteggiamento in appello”, il giudice deve motivare perché non proscioglie l’imputato?
No. Secondo la Corte, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, il giudice di secondo grado non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., poiché la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia a seguito dell’accordo.

Cosa succede se i motivi di ricorso in Cassazione dopo un patteggiamento in appello sono generici?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte ha rilevato che il ricorrente non ha articolato doglianze specifiche, ma si è limitato a lamentare un’assenza di motivazione. La genericità dei motivi è una causa di inammissibilità del ricorso.

Quali sono le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La declaratoria di inammissibilità comporta, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata equitativamente fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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