Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 340 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 340 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nata a LA SPEZIA il 07/06/1966 COGNOME NOME nato a CASALMAGGIORE il 05/09/1997
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza emessa il 17 maggio 2024 la Corte di appello di Brescia, in accoglimento delle richieste ex art. 599bis cod. proc. pen., ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Cremona, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME in ordine al delitto di furto in abitazione, sostituendo la pena detentiva con quella della detenzione domiciliare solo per il secondo ricorrente.
Avverso detta sentenza propongono ricorsi, a mezzo del difensore e con unico atto, gli imputati, deducendo quale motivo di censura quello della violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 133bis cod. pen., non avendo la sentenza impugnata dato conto dei criteri che hanno determinato la dosimetria delle pene.
3. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018 Cc., Rv. 272853 – 01; in senso conforme, Sez. 3, n. 30190 del 08/03/2018 Cc., Rv. 273755 – 01, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018 Cc., Rv. 274522 01) per l’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018 Cc., Casero, Rv. 273194 – 01).
Nel caso di specie il ricorrente aveva rinunciato ai motivi di appello diversi da quelli relativi alla pena, cosicché preclusa è ogni questione relativa alla responsabilità e alla qualificazione giuridica, per altro ampiamente affrontati dalla Corte di appello, che ha fatto propria la sentenza di primo grado.
Quanto alla dosimetria della pena, il trattamento è stato correlato alla proposta proveniente dalle parti, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche riconosciute agli imputati in equivalenza alla recidiva, specifica e reiterata per COGNOME
La Corte ha giudicato congrua la pena finale di anni cinque e mesi tre di reclusione ed euro 1200,00 di multa per COGNOME e per COGNOME di anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro 667,00 di multa, fondando la riduzione della stessa rispetto a quella di primo grado, conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sull’intervenuto risarcimento del danno e sull’atteggiamento conciliativo degli imputati.
La pena concordata è stata ritenuta congrua, potendo essere così recepita dalla Corte territoriale quella concordata dalle parti, il che integra una motivazione assolutamente adeguata. Vanno richiamati i consolidati principi sul tema, per cui, in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena,
nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283).
Nel caso in esame, sussistendo l’aggravante dell’art. 61, n. 5, cod. pen., trova applicazione il combinato disposto dei commi terzo e quarto dell’art. 624 -bis cod. pen., in relazione ai quali la pena minima risulta essere quella di anni cinque di reclusione, mentre per Tonap an, a seguito dell’equivalenza, nella misura minima di anni tre di reclusione, cosicché le pene irrogate risultano prossime al minimo.
Pertanto, non si verte in caso di illegalità della pena, determinata dall’applicazione di sanzione “ab origine” contraria all’assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 -01).
Per altro, anche rispetto alle questioni rilevabili di ufficio, l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati, implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale, il che nel caso in esame non è (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196 -01).
Pertanto, il ricorso è inammissibile perché non consentito è il ricorso.
La rilevata causa di inammissibilità va dichiarata de plano , ai sensi dell’art. 610, comma 5bis cod. proc. pen.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro quattromila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024