Patteggiamento in appello: quando il ricorso in Cassazione è precluso
Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103/2017 e disciplinato dall’art. 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per deflazionare il carico giudiziario, ma quali sono le sue conseguenze sulla possibilità di ricorrere in Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte (n. 18792/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che l’adesione a tale accordo limita significativamente i motivi di un successivo ricorso. Analizziamo la decisione per comprendere la portata di questa preclusione.
I Fatti del Caso
Quattro individui, condannati per plurime violazioni della legge sugli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90), presentavano ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino. Quest’ultima, in accoglimento della richiesta di patteggiamento in appello, aveva rideterminato il trattamento sanzionatorio a loro carico.
Nonostante l’accordo raggiunto, i ricorrenti lamentavano diversi vizi, tra cui l’assenza di motivazione sulla misura della pena, la mancata assoluzione per insussistenza del fatto, l’errata qualificazione giuridica delle condotte e il diniego delle attenuanti generiche.
La Decisione della Cassazione e il patteggiamento in appello
La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su una distinzione netta tra i motivi di ricorso e gli effetti preclusivi derivanti dall’accordo processuale.
Un ricorso è stato dichiarato inammissibile per un vizio formale preliminare: era stato proposto personalmente dall’imputato, una modalità non consentita per questo tipo di impugnazione. Gli altri tre ricorsi, invece, sono stati ritenuti inammissibili perché basati su motivi non consentiti e manifestamente infondati, proprio in virtù dell’avvenuto patteggiamento in appello.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo sulla pena in appello comporta la rinuncia ai motivi di impugnazione. L’effetto devolutivo, che trasferisce la cognizione al giudice superiore, viene così circoscritto ai soli punti che non sono oggetto di rinuncia.
Di conseguenza, una volta che l’imputato accetta di ‘patteggiare’ la pena in secondo grado, non può più contestare in Cassazione l’affermazione della sua responsabilità penale o chiedere una diversa qualificazione giuridica del reato. Queste doglianze, infatti, sono coperte dalla rinuncia implicita nell’accordo. Il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato secondo l’art. 129 c.p.p., poiché la sua cognizione è limitata ai termini dell’accordo stesso.
Per quanto riguarda i motivi non coperti dalla rinuncia – come la misura della pena, la recidiva e le attenuanti – la Corte li ha giudicati manifestamente infondati. Le statuizioni della Corte d’Appello erano infatti conformi ai concordati di pena e sorrette da una giustificazione adeguata, che teneva conto della gravità delle condotte e della personalità di ciascun imputato.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il patteggiamento in appello è una scelta processuale con conseguenze definitive. Se da un lato può portare a una riduzione della pena, dall’altro implica una quasi totale abdicazione al diritto di contestare il merito della condanna in un successivo grado di giudizio. Gli imputati e i loro difensori devono quindi valutare con estrema attenzione i pro e i contro di tale istituto, essendo consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo, le porte della Cassazione per contestare la colpevolezza si chiudono quasi ermeticamente. La declaratoria di inammissibilità comporta, inoltre, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, rendendo la scelta di un ricorso infondato anche economicamente onerosa.
Dopo un patteggiamento in appello, è possibile ricorrere in Cassazione per chiedere l’assoluzione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’accordo sulla pena in appello, ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p., implica la rinuncia ai motivi di impugnazione relativi all’affermazione di responsabilità. Di conseguenza, non è più possibile contestare la colpevolezza o chiedere il proscioglimento.
Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile se proposto personalmente dall’imputato?
L’ordinanza dichiara inammissibile uno dei ricorsi perché ‘proposto personalmente’. Ciò significa che, per specifiche impugnazioni davanti alla Corte di Cassazione, la legge richiede l’assistenza tecnica e la sottoscrizione di un avvocato abilitato, non essendo sufficiente l’iniziativa diretta della parte.
Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende. In questo specifico caso, la somma è stata fissata in tremila euro per ciascun ricorrente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18792 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18792 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a BOVA MARINA il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a FRANCAVILLA FONTANA DATA_NASCITA BEGA] NOME NOME il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a MANDURIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che i ricorsi presentati da COGNOME NOME personalmente e nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Torino, che, ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen., ridetermiNOME il trattamento sanzioNOMErio a loro carico in relazione a pluri contestazioni del delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, mediante i quali è denunciata l’assenza di motivazione in ordine alla misura della pena e alla insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (COGNOME), il manca riconoscimento della qualificabilità delle condotte ai sensi del quinto comma dell’art. d.P.R. 309/90, la mancanza di motivazione circa l’affermazione di responsabilità di COGNOME in ordine al reato di cui al capo 15), l’applicazione della recidiva e il diniego delle circos attenuanti generiche (COGNOME), la mancanza di motivazione sulla responsabilità (COGNOME), sono inammissibili, in quanto proposto personalmente (il ricorso di COGNOME COGNOME) e per motivi non consentiti e manifestamente infondati (i restanti ricorsi, ossia quell COGNOME, COGNOME e COGNOME).
Considerato, infatti, che a seguito della reintroduzione del cosiddett patteggiamento in appello, per opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art 599 bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza circostanze aggravanti in quanto, a causa dell’effetto devolutivo propri dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (cfr. Sez. 3, Ordinan n. 30190 del 08/03/2018, COGNOME, Rv. 273755; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME e altro, Rv. 272853; Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274522), cosicché le doglianze in ordine alla affermazione di responsabilità e alla qualificazio delle condotte (avanzate da COGNOME, COGNOME e NOME) risultano precluse dalla rinuncia a corrispondenti motivi d’appello, mentre quelle relative alla misura della pena ( COGNOME) e alla recidiva e al diniego delle circostanze attenuanti generiche (di Nis sono manifestamente infondate, essendo le corrispondenti statuizioni conformi ai concordati di pena e tutte sorrette da adeguata giustificazione, essendo per ciascun ricorrente stata considerata la gravità delle condotte e la personalità di ognuno, di cui Corte d’appello ha dato atto analiticamente per ciascun ricorrente, con motivazione idonea.
Rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
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Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024 Il Consigliere estensore Il Presidente