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Patteggiamento in appello: i limiti al ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18792/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di quattro imputati contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva rideterminato la loro pena a seguito di un patteggiamento in appello. La Corte ha stabilito che l’adesione a tale accordo preclude la possibilità di contestare in Cassazione l’affermazione di responsabilità o la qualificazione del reato, poiché l’imputato rinuncia ai relativi motivi. Il ricorso è possibile solo su aspetti non coperti dalla rinuncia, ma in questo caso anche tali motivi sono stati ritenuti infondati.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in appello: quando il ricorso in Cassazione è precluso

Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103/2017 e disciplinato dall’art. 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per deflazionare il carico giudiziario, ma quali sono le sue conseguenze sulla possibilità di ricorrere in Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte (n. 18792/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che l’adesione a tale accordo limita significativamente i motivi di un successivo ricorso. Analizziamo la decisione per comprendere la portata di questa preclusione.

I Fatti del Caso

Quattro individui, condannati per plurime violazioni della legge sugli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90), presentavano ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino. Quest’ultima, in accoglimento della richiesta di patteggiamento in appello, aveva rideterminato il trattamento sanzionatorio a loro carico.
Nonostante l’accordo raggiunto, i ricorrenti lamentavano diversi vizi, tra cui l’assenza di motivazione sulla misura della pena, la mancata assoluzione per insussistenza del fatto, l’errata qualificazione giuridica delle condotte e il diniego delle attenuanti generiche.

La Decisione della Cassazione e il patteggiamento in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su una distinzione netta tra i motivi di ricorso e gli effetti preclusivi derivanti dall’accordo processuale.

Un ricorso è stato dichiarato inammissibile per un vizio formale preliminare: era stato proposto personalmente dall’imputato, una modalità non consentita per questo tipo di impugnazione. Gli altri tre ricorsi, invece, sono stati ritenuti inammissibili perché basati su motivi non consentiti e manifestamente infondati, proprio in virtù dell’avvenuto patteggiamento in appello.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo sulla pena in appello comporta la rinuncia ai motivi di impugnazione. L’effetto devolutivo, che trasferisce la cognizione al giudice superiore, viene così circoscritto ai soli punti che non sono oggetto di rinuncia.

Di conseguenza, una volta che l’imputato accetta di ‘patteggiare’ la pena in secondo grado, non può più contestare in Cassazione l’affermazione della sua responsabilità penale o chiedere una diversa qualificazione giuridica del reato. Queste doglianze, infatti, sono coperte dalla rinuncia implicita nell’accordo. Il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato secondo l’art. 129 c.p.p., poiché la sua cognizione è limitata ai termini dell’accordo stesso.

Per quanto riguarda i motivi non coperti dalla rinuncia – come la misura della pena, la recidiva e le attenuanti – la Corte li ha giudicati manifestamente infondati. Le statuizioni della Corte d’Appello erano infatti conformi ai concordati di pena e sorrette da una giustificazione adeguata, che teneva conto della gravità delle condotte e della personalità di ciascun imputato.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il patteggiamento in appello è una scelta processuale con conseguenze definitive. Se da un lato può portare a una riduzione della pena, dall’altro implica una quasi totale abdicazione al diritto di contestare il merito della condanna in un successivo grado di giudizio. Gli imputati e i loro difensori devono quindi valutare con estrema attenzione i pro e i contro di tale istituto, essendo consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo, le porte della Cassazione per contestare la colpevolezza si chiudono quasi ermeticamente. La declaratoria di inammissibilità comporta, inoltre, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, rendendo la scelta di un ricorso infondato anche economicamente onerosa.

Dopo un patteggiamento in appello, è possibile ricorrere in Cassazione per chiedere l’assoluzione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’accordo sulla pena in appello, ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p., implica la rinuncia ai motivi di impugnazione relativi all’affermazione di responsabilità. Di conseguenza, non è più possibile contestare la colpevolezza o chiedere il proscioglimento.

Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile se proposto personalmente dall’imputato?
L’ordinanza dichiara inammissibile uno dei ricorsi perché ‘proposto personalmente’. Ciò significa che, per specifiche impugnazioni davanti alla Corte di Cassazione, la legge richiede l’assistenza tecnica e la sottoscrizione di un avvocato abilitato, non essendo sufficiente l’iniziativa diretta della parte.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende. In questo specifico caso, la somma è stata fissata in tremila euro per ciascun ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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