Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17165 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17165 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a POMIGLIANO D’ARCO il 14/07/1970 NOME nato a TELESE TERME il 23/01/1992 NOME nato a BRUSCIANO il 13/01/1965
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore avv. NOME COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso e avanzando analoga richiesta in difesa di NOME COGNOME quale sostituto processuale, per delega scritta, dell’avvocato NOME COGNOME del foro di NAPOLI.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 17 aprile 2023, il G.u.p. del Tribunale di Napoli, in esito a rito abbreviato, condannava, per quel che qui rileva:
NOME COGNOME alla pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione e alle pene accessorie di legge in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen., consistito nell’aver costituito, promosso, organizzato e diretto un’associazione camorristica denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (capo 1: fatti accertati in Brusciano e in paesi limitrofi dal dicembre 2017 al dicembre 2020);
NOME COGNOME e NOME COGNOME esclusa la recidiva, alla pena di 4 anni, 8 mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa ciascuno e alla pena accessoria di legge per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di detenzione e port illegali di un’arma da sparo, commessi in Brusciano il 21 dicembre 2017.
Con sentenza del 10 maggio 2024, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia impugnata:
rideterminava in complessivi 17 anni e 6 mesi di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME riconosciuta la continuazione tra il reato sub iudice e quelli giudicati con sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli il 10 luglio 2019, irrevocabile il 15 settembre 2021;
rideterminava in 3 anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa la pena inflitta ad NOME COGNOME oggetto di concordato, con revoca della pena accessoria;
rideterminava in 3 anni di reclusione e 2.000,00 euro di multa la pena inflitta a NOME COGNOME oggetto di concordato, con revoca della pena accessoria.
La sentenza di primo grado, con riferimento ai tre suddetti imputati, veniva confermata nel resto.
2.1. La Corte di appello, richiamati cenni introduttivi sull’operatività del clan COGNOME a partire dagli anni ’90, si soffermava sulle emergenze della sentenza emessa il 1° luglio 2019 dal G.u.p. del Tribunale di Napoli, irrevocabile il 15 settembre 2021, che documentava la perdurante operatività del sodalizio, giudicando NOME COGNOME classe ’65 responsabile di plurime condotte estorsive e di altri delitti, perpetrati, fino al dicembre 2017, con metodo mafioso, ai danni di esercenti commerciali operanti nei comuni di Brusciano e Mariglianella.
L’imputato, elemento apicale del gruppo egemone nei territori citati, avvalendosi della collaborazione di affiliati e di soggetti contigui alla propri organizzazione camorristica, soleva imporre il pizzo agli imprenditori locali,
giungendo, nei casi di rifiuto, ad usare violenza fisica per coartarne il volere o a porli nelle condizioni di non poter più esercitare le rispettive attività commerciali in quel territorio.
2.1.1. La Corte di merito, dopo aver dato sinteticamente atto della guerra scoppiata col gruppo rivale dei PALERMO, passava in rassegna le dichiarazioni rese, con riguardo al periodo d’interesse, dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In sintonia con il primo giudice, la Corte dell’appello reputava pienamente attendibili i menzionati propalanti, portatori, per il loro comune passato camorristico, di un contributo di conoscenza nato da esperienza diretta e relativo a episodi specifici.
Il narrato dei dichiaranti rispettava, infatti, i criteri di spontaneità, costanz disinteresse, precisione, coerenza e indipendenza.
Le dichiarazioni rese, inoltre, si riscontravano reciprocamente, tutte convergenti, com’erano, sul ruolo apicale svolto dal REGA e sulla contrapposizione venutasi a creare, da un certo periodo in poi, con NOME COGNOME.
2.1.2. Il patrimonio dichiarativo veniva, poi, corroborato, ad avviso dei giudici territoriali, da alcune conversazioni intercettate nell’abitacolo della vettu in uso all’affiliato NOME COGNOME
Venivano, in particolare, apprezzate le conversazioni n. 979 e n. 1000 del 25 maggio 2018, intercorse tra COGNOME e la moglie NOME COGNOME in cui il primo faceva riferimento alla “vittoria” di “NOME“, che “la comanda di nuovo lui”.
La Corte di merito confutava il motivo di gravame volto a contestare il ruolo apicale del COGNOME e la sussistenza dell’aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis cod. pen., richiamando, quanto al primo, le plurime ed esplicite narrazioni dei collaboranti sul punto, e, quanto alla seconda, gli inequivoci elementi desumibili dalla violenta “guerra di camorra” esplosa tra i clan COGNOME e PALERMO, che aveva determinato numerosi scontri armati tra esponenti dei due gruppi, come riscostruiti dalle conversazioni intercettate.
Per l’eccezionale gravità del reato commesso e per il suo profilo criminale altamente pericoloso, REGA non veniva ritenuto meritevole della concessione delle attenuanti generiche, né era possibile addivenire a una riduzione del trattamento sanzionatorio, già attestato sui minimi edittali.
2.2. Quanto alle posizioni dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME la Corte di appello riteneva meritevoli di accoglimento le richieste di concordato da essi formulate per il positivo comportamento processuale di entrambi, evidenziato dalla rinuncia ai principali motivi di gravame.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del difensore, sviluppando cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo, si deducono vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen. con riferimento all’art. 416-bis cod. pen. e, segnatamente, per aver valorizzato il “solo confuso materiale dichiarativo dei collaboratori di giustizia pur in mancanza di alcun elemento di riscontro e di qualsivoglia attività d’indagine”.
Dall’ampia valorizzazione, quale unico elemento, del narrato dei pentiti, con dichiarazioni per lo più de relato e prive di riscontri, ad avviso della difesa del ricorrente, sarebbe scaturito un errore di diritto inficiante l’intera tenu motivazionale della sentenza impugnata, non potendo soccorrere, quale decisivo elemento di riscontro, il portato delle captazioni, che restituivano mere opinioni personali sul REGA non suffragate da nulla.
Viceversa, dal racconto delle menzionate fonti dichiarative emergeva, piuttosto, l’esistenza di un pericoloso sodalizio capeggiato da NOME COGNOME che, con azioni violente e sanguinarie, aveva cercato di contrapporsi al REGA, senza che costui avesse mai lontanamente pensato di reagire a tutto ciò.
Sulla base di tale materiale probatorio, pertanto, era consentito dubitare della correttezza della contestazione elevata a carico del REGA.
D’altro canto, la valutazione sommaria delle dichiarazioni dei collaboranti non permetteva di ritenere raggiunti i minimi standard di motivazione richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.
3.2. Con il secondo motivo, si eccepiscono carenza di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 99, quarto comma, cod. pen., per la mancata esclusione dell’aumento per la contestata aggravante della recidiva.
La Corte di appello mostrava di aver recepito il rilievo difensivo attinente alla corretta identificazione dell’imputato in NOME COGNOME classe ’65 in luogo dell’omonimo cugino classe ’89.
Tuttavia, i giudici del gravame non avrebbero sviluppato una propria motivazione sulle ulteriori censure difensive, attinenti al merito della contestazione, essendosi limitati semplicemente ad avallare l’operato del primo giudice.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia erronea applicazione dell’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza del carattere armato dell’associazione.
Le fonti di prova valorizzate avrebbero dimostrato l’esistenza di azioni violente perpetrate esclusivamente dal clan COGNOME in danno del REGA, non essendo emersi episodi violenti con carattere di reciprocità.
L’aggravante in questione si sarebbe, semmai, attagliata esclusivamente al sodalizio capeggiato dal PALERMO.
3.4. Con il quarto motivo, si deduce erronea applicazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.
Si duole la difesa ricorrente che, in applicazione della disciplina prevista dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., l’imputato, nonostante il favorevole riconoscimento della continuazione del reato sub iudice con gli altri reati giudicati con la sentenza del G.i.p. di Napoli in data 10 luglio 2017, irrevocabile il 15 settembre 2021, avrebbe patito una sorta di reformatio in peius sotto l’effetto pratico, poiché, in fase di esecuzione, avrebbe espiato una pena aumentata a causa della perdita del periodo scontato antecedentemente e, addirittura, dei giorni di liberazione anticipata fruiti.
Tanto suggerirebbe di valutare l’eventuale sollevazione di incidente di costituzionalità della norma.
3.5. Con il quinto ed ultimo motivo, si eccepiscono, infine, vizio di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen.
Si lamenta, in sostanza, la mancata risposta da parte della Corte di merito alle censure articolate nell’atto di appello.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione dell’art. 133 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio e all’aumento di pena per la continuazione.
La difesa si duole che la Corte di appello, in relazione al motivo di gravame con cui era stata richiesta la concessione delle attenuanti generiche nella massima ampiezza, non abbia fornito risposta né abbia motivato il diniego.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, violazione dell’art. 27 Cost. per eccessività della pena determinata anche dal diniego delle attenuanti generiche, e, con il secondo motivo, omessa motivazione in ordine alla sussistenza di cause di non punibilità.
Il difensore del ricorrente COGNOME, avv. NOME COGNOME ha avanzato tempestiva istanza di trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Vanno, in primo luogo, dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME che, nel giudizio di appello, hanno concordato la pena a ciascuno inflitta.
Giova ricordare che con l’istituto del c.d. “patteggiamento in appello”, come reintrodotto ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, e parzialmente modificato dall’art. 34, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (in modo, peraltro, ininfluente sul caso in esame), rivive il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dall’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto-legge n. 92 del 2008 – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati; e non è neppure tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame, prima disciplinato dal citato art. 599 c proc. pen. (tra le altre Sez. 6, n. 35108 dell’8/5/2003, COGNOME, Rv. 226707 – 01; Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245919 – 01); determinando, invero, la rinuncia ai motivi una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ormai ritenersi non gli sia devoluto (non solo in punto di affermazione di responsabilità).
2.1. Con la conseguenza che è ammissibile il ricorso in cassazione che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., nonché ai vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella previs dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, COGNOME, Rv. 276102 – 01).
Sintetizzando, il potere dispositivo riconosciuto alla parte, oggi, dall’art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 29243 del 4/6/2018, Casero, Rv. 273194 – 01).
Per completezza, va detto, che con la sentenza n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481 – 01, le Sezioni Unite hanno affermato che nei
confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Nel caso in esame, sia COGNOME che COGNOME dopo aver dichiarato di rinunciare a tutti i motivi proposti, hanno concordato con il Procuratore generale territoriale, inclusa la continuazione tra i reati, l’applicazione di una pena finale 3 anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa per COGNOME, e di 3 anni di reclusione e 2.000,00 euro di multa per COGNOME.
Costituendo la determinazione della pena ora indicata oggetto dell’accordo intervenuto tra le parti con rinuncia agli altri motivi di gravame, le doglianze formulate con i due ricorsi, afferendo al trattamento sanzionatorio, devono ritenersi inammissibili, atteso che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, la rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quello riguardante la misura della pena, deve ritenersi comprensiva anche di quei motivi attraverso i quali l’appellante – come nella specie gli odierni ricorrenti – aveva richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti (fra tutte, Sez. 4, n. 53340 del 24/11/2016, COGNOME e altri, Rv. 268696 – 01).
Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila ciascuno.
Parimenti inammissibile è il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
4.1. Il primo motivo, afferente al reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen., è generico per aspecificità, rivalutativo e manifestamente infondato.
La Corte di appello, con iter argomentativo scevro da vizi logici, ha messo in luce la piena convergenza e coerenza delle plurime dichiarazioni dei collaboranti esaminate, sicché le critiche formulate in ricorso, che, nella sostanza, rifuggono da un serio confronto con la nitida ratio decidendi e accomunano, in un’unica e indistinta valutazione, tutte le fonti dichiarative, travalicano la sogl dell’ammissibilità.
Le captazioni, diversamente da quanto dedotto in ricorso, non esprimono affatto opinioni personali, ma, come logicamente interpretato dai giudici di merito, fotografano la definitiva “vittoria” da parte del RECA della guerra con il clan PALERMO, e non sono solo quelle riportate a pag. 27, ma anche quelle citate alla
pagina successiva, che la difesa ha omesso di indicare e che documentano plurimi scontri armati verificatisi tra il 22 febbraio 2018 e il 13 maggio 2018 tra i due clan contrapposti.
Non va dimenticato che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione all massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Per concludere sul primo motivo, va rilevato che, quanto alla adeguatamente motivata leadership di REGA, il ricorso non si confronta per nulla con gli elementi tratti dalla condanna per estorsioni e altro riportata dal predetto, così evidenziando un ulteriore profilo di aspecificità.
4.2. Il secondo motivo, attinente alla circostanza aggravante della recidiva, non può essere preso in considerazione, in quanto dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione.
4.3. Il terzo motivo, con cui si contesta la ritenuta circostanza aggravante dell’associazione “armata”, suggerisce il singolare scenario di una “guerra di camorra” in cui solo uno dei clan in conflitto, facente capo al PALERMO, sarebbe armato, mentre l’altro, facente capo al REGA, non reagirebbe agli attacchi altrui.
La prospettazione difensiva, tuttavia, pecca di assertività e aspecificità, poiché omette di confrontarsi, a tacer d’altro, con quanto riportato a pag. 28 della sentenza impugnata a proposito di due “stese” (condotta, oggi, integrante l’autonomo reato di cui all’art. 421-bis cod. pen.) imputabili al clan COGNOME di cui si parla in conversazioni intercettate il 22 febbraio 2018 e il 12 marzo 2018, nonché con quanto emerso da alcuni dialoghi coinvolgenti NOME COGNOME, esponente del clan PALERMO, la quale elencava le volte in cui la sua abitazione e l’abitazione di NOME COGNOME erano state attinte da colpi di pistola, evidentemente esplosi da esponenti del clan avverso, e raccontava di quando un uomo di COGNOME, sodale di COGNOME, le aveva ucciso il cane a pistolettate; o, ancora, quando NOME COGNOME nella conversazione del 3 aprile 2018, riferiva di aver visto la sera precedente alcuni uomini del clan COGNOME armati di pistole.
La sussistenza dell’aggravante in parola è, quindi, più che convenientemente argomentata, mentre, come detto, il ricorso non dialoga affatto con gli elementi valorizzati, in modo logico, dai giudici del gravame.
4.4. Il quarto motivo, con cui si profila un ipotetico effetto, in sede di esecuzione della pena, di reformatio in peius derivante dal riconoscimento della continuazione tra il reato sub iudice e quelli giudicati con la sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli il 1° luglio 2019, irrevocabile il 15 settembre 2021,
non può essere affrontato nella presente sede, poiché, appunto, afferente, eventualmente, alla fase di esecuzione della pena, nell’ambito della quale
l’interessato potrà promuovere apposito incidente.
5. Il ricorso di NOME COGNOME va, in conclusione, dichiarato inammissibile,
dal che discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n.
186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
i
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore idente