Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3064 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3064 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Perugia il 22/07/1974
avverso la sentenza del 06/02/2024 della Corte di Appello di Perugia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udite le richieste dell’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 02/12/2022 il Tribunale di Perugia ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di truffa aggravata e di infedele patrocinio.
La Corte di appello di Perugia, in parziale riforma di tale sentenza, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di truffa, per essere estinto per intervenuta remissione di querela, e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato denunciando con un unico, articolato motivo di annullamento il vizio di violazione di legge e di manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 380 cod. pen.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il ricorrente, difensore di NOME COGNOME in un procedimento civile pendente, prima, innanzi al Tribunale e, poi, innanzi alla Corte di appello di Perugia, aveva, in occasione di un incontro del 21/06/2016, esibito al proprio cliente un falso dispositivo di sentenza della Corte di appello, che liquidava in suo favore a titolo di spese legali euro 40.000 per il primo grado ed euro 40.000 per il secondo grado, oltre ad accessori di legge. In tale modo egli aveva indebitamente ottenuto dal proprio cliente la somma di 97.600 euro, corrispostagli con assegno. Per tali fatti, integranti il reato di truffa è stata rimessa la querela.
Oltre a ciò, il ricorrente aveva fatto firmare al proprio assistito tre fogli in bianc che aveva, poi, provveduto ad abusivamente compilare: il primo, con data antecedente all’emissione della sentenza di secondo grado (04/04/2014), recante l’affidamento di un incarico all’assistenza giudiziale e stragiudiziale e il riconoscimento di un compenso di euro 59.000 per il giudizio di primo grado e di euro 51.000 per il giudizio di secondo grado, il secondo e il terzo, recanti la data del 15/07/2016, contenenti rispettivamente una delega alla riscossione del risarcimento del danno liquidato dalla Corte di appello e una autorizzazione all’incasso delle spese legali. Tale condotta viene contestata come patrocinio infedele, in quanto posta in essere in violazione dei doveri professionali e realizzata al fine di legittimare la corresponsione della somma di 97.600 euro.
La difesa contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 380 cod. pen. sotto diversi profili.
In primo luogo, si deduce che gli atti sottoscritti in bianco e abusivamente compilati hanno contenuto strettamente privatistico e devono, perciò, considerarsi completamente estranei al procedimento giudiziario per il quale il ricorrente aveva prestato la sua opera professionale.
Inoltre, gli atti datati 15/07/2016 sono successivi alla conclusione del procedimento, avvenuta con il deposito della sentenza della Corte d’appello, quindi non riguardano l’attività endoprocessuale, cui è circoscritta l’area della penale rilevanza della condotta descritta dall’art. 380 cod. pen.
L’atto datato 04/04/2014 contiene un generico incarico di assistenza professionale che non poteva avere alcuna efficacia nei procedimenti pendenti, in cui era stata depositata apposita procura alle liti ai sensi degli artt. 83 e ss. cod. proc. civ.
Il difensore rileva, inoltre, che la condotta di abusivo riempimento non ha causato un danno agli interessi della parte difesa dal ricorrente, danno che può essere, piuttosto, l’effetto della esibizione da parte del legale del falso dispositivo della sentenza di appello. Tale esibizione, però, non può essere astrattamente ricondotta alla fattispecie di cui all’articolo 380 cod. pen., in primo luogo, perché posta in essere quando il procedimento civile era già terminato e, in secondo luogo, perché essa rappresenta l’artificio e il raggiro con il quale la parte offesa è stata indotta in errore e ha, così, pagato la somma di euro 97.600, sicché il medesimo fatto non può integrare sia l’elemento materiale del delitto di truffa che l’elemento materiale del delitto di patrocinio infedele, per il divieto di bis in idem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente rilevata la prescrizione del reato.
Alla luce della pena edittale massima, il termine di prescrizione, tenuto conto delle interruzioni ex art. 161 cod. proc. pen., è di anni sette e mesi sei, a cui, come emerge dalla sentenza impugnata, vanno aggiunti sessanta giorni di sospensione (stante il rinvio all’udienza del 20/07/2020 al 28/09/2020 per legittimo impedimento del difensore), per cui il reato (consumato il 15/07/2016) si è prescritto il 15/03/2024.
La causa estintiva deve essere rilevata da questa Corte in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., essendo il rapporto processuale validamente instaurato con un ricorso non manifestamente infondato (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME Rv. 266818 secondo cui solo l’inammissibilità dell’impugnazione paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale, al di là dell’accertamento di tale profilo processuale, non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’ 129 cod. proc. pen., cause di non punibilità, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, nel corso, cioè, del giudizio definito con tale sentenza, destinata a rimanere immodificabile, proprio perché contrastata da una impugnazione inammissibile).
Non sussistono i presupposti per l’emissione di sentenza ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. in quanto, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione nel merito soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01). Ciò non accade nel caso di specie, in quanto nella sentenza impugnata il reato è ritenuto sussistente sulla base della deposizione della persona offesa, ritenuta pienamente credibile e dei documenti acquisiti, da cui emerge che, nonostante la compagnia assicuratrice avesse pagato all’avvocato COGNOME, difensore di COGNOME, 29.000 euro a titolo di spese legali liquidate dalla Corte di appello, l’imputato aveva fatto sottoscrivere documenti in bianco al suo assistito (accordo sui compensi, delega alla riscossione e autorizzazione all’incasso), in violazione dei doveri di probità, fedeltà, corretta e chiara informazione, giungendo a esibire un falso dispositivo che gli liquidava la somma complessiva di euro 80.000, oltre a spese, somma effettivamente pagata con assegno dalla persona offesa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 12/11/2024