Patrocinio a Spese dello Stato: L’Obbligo di Dichiarare Tutti i Redditi del Nucleo Familiare
L’accesso al patrocinio a spese dello Stato è un diritto fondamentale che garantisce la difesa legale a chi non può permettersela. Tuttavia, la sua concessione è subordinata a requisiti reddituali stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, Num. 27274/2024) ribadisce un principio cruciale: nell’istanza di ammissione, è obbligatorio dichiarare non solo i propri redditi, ma anche quelli di tutti i familiari conviventi. L’omissione di tali informazioni può integrare un reato e portare a conseguenze severe, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
I Fatti del Caso
Un soggetto veniva condannato dalla Corte d’Appello per aver falsamente attestato le proprie condizioni economiche al fine di ottenere il patrocinio a spese dello Stato. Nello specifico, nell’istanza presentata, aveva omesso di indicare i redditi percepiti dal fratello convivente. Quest’ultimo era titolare non solo di un’indennità di accompagnamento, ma anche di una pensione erogata dall’INPS, redditi considerati rilevanti ai fini della valutazione complessiva della situazione economica del nucleo familiare.
Contro la sentenza di condanna, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, contestando la ricostruzione dei fatti e la valutazione del materiale probatorio effettuata dai giudici di merito. Sosteneva, in sostanza, che la sua responsabilità non fosse stata adeguatamente provata.
L’inammissibilità del ricorso sul patrocinio a spese dello Stato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno chiarito che le censure sollevate dal ricorrente non erano ammissibili in quella sede. Il giudizio di Cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito dove si possono rivalutare i fatti o l’attendibilità delle prove. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e l’assenza di vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero fornito una motivazione “congrua e adeguata”, basata su “corretti criteri di inferenza” e “condivisibili massime di esperienza”. Pertanto, la valutazione sulla colpevolezza dell’imputato era insindacabile in sede di legittimità.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha confermato la logicità del ragionamento seguito dai giudici di merito. La responsabilità del ricorrente era stata correttamente ravvisata nel non aver dichiarato, nell’istanza per il patrocinio a spese dello Stato, il reddito percepito dal fratello convivente. Tali somme, costituite da un’indennità di accompagnamento e da una pensione INPS, erano state giustamente considerate rilevanti ai fini reddituali.
Inoltre, la Corte ha sottolineato come il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di presentare una dichiarazione incompleta, fosse stato compiutamente argomentato nella sentenza impugnata. Non vi era spazio, in sede di legittimità, per una “nuova e diversa valutazione dell’elemento soggettivo del reato”.
Le conclusioni
In conseguenza della dichiarata inammissibilità del ricorso, e in assenza di ragioni di esonero, la Corte ha condannato il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento. A ciò si è aggiunta la condanna al versamento della somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza della trasparenza e della completezza delle informazioni fornite nelle richieste di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, evidenziando come l’omissione di redditi dei familiari conviventi possa avere gravi conseguenze penali e pecuniarie.
Quali redditi devono essere dichiarati nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato?
Nella domanda devono essere indicati non solo i redditi personali del richiedente, ma anche quelli di tutti i familiari conviventi, poiché concorrono a determinare la situazione economica complessiva del nucleo familiare.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate riguardavano la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove, aspetti che sono di competenza esclusiva dei giudici di merito e non possono essere riesaminati nel giudizio di legittimità, a meno che la motivazione non sia manifestamente illogica, cosa che non è stata riscontrata in questo caso.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27274 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27274 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso sentenza recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato ascritto è inammissibile, perch contenente censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merit che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da censure di manifesta illogicità perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito hanno logicamente ravvisato la responsabilità del prevenuto per non avere il medesimo indicato, nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il reddi percepito dal fratello convivente, titolare non soltanto di una indennità a titol accompagnamento ma anche di una pensione erogata dall’RAGIONE_SOCIALE, certamente rilevante a fini reddituali. Il dolo generico è stato compiutamente argomentato ed in questa sede non vi è spazio per una nuova e diversa valutazione dell’elemento soggettivo del reato.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 giugno 2024
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