Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18442 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18442 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 29/11/1976
avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME il P.G. in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, per avere, nell’istanza intesa ad ottenere l’ammissione al beneficio del patrocinio dello Stato, nel procedimento penale n. 298/2017 R.G. Trib., attestato falsamente la sussistenza delle condizioni di reddito e, in particolare, per l’anno 2016 di avere percepito un reddito pari a 4.000 euro a fronte dei 14.671,68 realmente percepiti.
La Corte territoriale, richiamato il contenuto del gravame con il quale la difesa aveva contestato che i redditi da lavoro dipendente che sarebbero dovuti derivare dall’attività lavorativa svolta alle dipendenze della moglie non sarebbero mai stati percepiti, ha richiamato le dichiarazioni del teste di NOMECOGNOME da cui era emerso che la moglie del ricorrente aveva già versato i contributi legati alle mensilità dovute al marito e che, comunque, nella sfera giuridica dell’imputato esisteva un credito certo, liquido ed esigibile.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell’interesse dell’COGNOME affidandolo ad un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Contesta la difesa che la Corte di appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza rispondere alle censure difensive mosse con l’atto di gravame da cui emergeva che COGNOME non aveva inserito, nell’autocertificazione allegata all’istanza GLYPH di GLYPH ammissione GLYPH al GLYPH patrocinio, GLYPH le GLYPH somme GLYPH oggetto dell’accertamento, in quanto mai percepite, come documentalnnente provato.
Il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Si legge nella sentenza di primo grado che COGNOME in data 28.8.2017, aveva chiesto al Tribunale di Reggio Calabria di essere
ammesso al patrocinio a spese dello Stato inserendo nel proprio nucleo familiare solo la figlia NOME, escludendo espressamente la moglie con la quale era in corso separazione giudiziale. L’imputato attestava di avere percepito per l’anno 2015, reddito pari a 5.000 euro e 4.000 per il 2016, provenienti da indennità di disoccupazione e regalie in denaro da parte della madre. Il Tribunale rilevava che dalla documentazione redatta dalla Direzione Provinciale di Reggio Calabria della Agenzia delle Entrate, come ripercorsa dal’ teste COGNOME era emerso che l’imputato, nell’anno 2016 aveva percepito le somme indicate nell’imputazione.
La Corte territoriale si è limitata a richiamare le emergenze dibattimentali e in specie le dichiarazioni del teste COGNOME il quale aveva eseguito accertamenti cartolari presso l’Anagrafe Tributaria da cui sarebbe emerso che COGNOME aveva percepito redditi da lavoro dipendente per l’anno 2016 pari a 14.671,68.
La Corte territoriale nell’assumere che COGNOME fosse – “titolare” con riferimento all’anno 2016 di reddito da lavoro dipendente ha legato tale circostanza al versamento dei contributi corrisposti dal datore di lavoro che, di per sé, non costituiva prova della corresponsione delle spettanze e di seguito ha argomentato che “non rileva” che detto reddito non fosse stato in concreto percepito poiché, comunque esisteva “nella sfera giuridica” del ricorrente, un diritto di credito certo liquido ed esigibile.
Ad avviso di questo Collegio, la Corte territoriale, così opinando, innanzitutto non si è confrontata con l’imputazione elevata a carico dell’COGNOME laddove si legge, redditi “realmente percepiti” e non piuttosto a “crediti certi, liquidi ed esigibili”, che, peraltro, il rico secondo quando dedotto e allegato, aveva pure provato ad azionare, senza esito, per il tramite dell’Ispettorato del Lavoro, come risultava dalla documentazione allegata.
Il richiamo alla “titolarità” operato dalla Corte territoriale non certo sufficiente allo scopo, ove si consideri che l’art. 76 d.P.R. citato, nel descrivere le condizioni per l’ammissione, prevede che «può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito…».
Il riferimento, al reddito imponibile operato dalla norma, non può che essere quello contenuto nel T.U. delle imposte sui redditi emesso con d.P.R. 22 dicembre 1987 n. 917 che all’art. 1 stabilisce «presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro» rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6.
La regola dell’imposizione tributaria sui redditi da lavoro dipendente è posta dagli artt. 7 e 51, co. 1, T.U.I.R. in base ai quali, ad ogni anno solare corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria. Si tratta del c.d. principio di cassa in base al quale, per qualsiasi erogazione che abbia titolo nel rapporto di lavoro, ai fini del prelievo fiscale si ha riguardo non al momento in cui viene in essere il diritto del dipendente a percepire le spettanze ma al momento in cui le stesse vengano effettivamente percepite perché dalla effettiva percezione scaturisce l’imposizione.
Quanto alla “determinazione del reddito di lavoro dipendente” l’art. 51 statuisce che detto reddito «è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in
genere corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono».
Sul punto questa Corte di legittimità ha precisato, sia pure con riferimento agli interessi corrisposti sui crediti, che «in tema di imposte sui redditi, gli interessi corrisposti sui crediti di lavoro per competenze arretrate (…) alla pari di qualsiasi erogazione economica che abbia titolo nel rapporto di lavoro, soggiacciono al c.d. principio di cassa, dovendosi avere riguardo al momento non già della relativa maturazione bensì a quello della relativa percezione, quest’ultima costituendo il momento decisivo ai fini della imposizione fiscale (Sez. Trib., n. 5575 del 26/10/2010 dep. 2011).
Che il concetto di “titolarità” utilizzato dalla Corte non fosse sufficiente lo si ricava, altresì, dalla lettura dell’art. 6, co. 2 T.U.I.R. espressamente prevede che, sia pure con riferimento a spettanze di altra natura e con riferimento ai “crediti”, che «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti e l indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti». Dunque, il riferimento non è ai crediti tout court ma ai proventi che dalla loro eventuale cessione siano derivati.
Ancora, il legislatore, al fine di riconoscere il beneficio in esame a chi non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, ha voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di coloro i quali siano conviventi e contribuiscano al menage familiare, prevedendo espressamente al secondo comma dell’art. 76 d.P.R. cit. che «il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia compreso l’istante».
A fronte di quanto fin qui osservato va, ulteriormente, rilevato che se l’accesso al patrocinio serve a rimuovere, in armonia con l’art. 3, co. 2, Cost. le difficoltà che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa, per garantire l’effettività del diritto di agire e difendersi in giud che l’art. 24, co. 2 Cost. qualifica come diritto inviolabile, in una lettu costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame, le stesse non possono che essere inquadrate nel sistema delle regole sottese all’intervento dello Stato a garanzia della difesa in giudizio dei non abbienti «a fronte della quale l’accertamento della condizione di “non abbiente”
deve attingere a categorie per cui rilevi l’accertamento degli introiti effettivi del richiedente tali da consentire o meno la possibilità di affrontare le spese di giudizio» (Sez. 4, n. 28810 del 10.5.2023, Rv. 284808 ,-01).
Il richiamo alla “effettività dei redditi” lo si ritrova anche ne pronuncia di questa Corte, a Sezioni Unite, in cui si è affermato il principio secondo cui, anche nel caso in cui «la falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 79, co. 1, lett. del d.P.R. n. 115 del 2022, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente previste e disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002» (sent. n. 14723 del 12/05/2020)
L’opzione interpretativa adottata dalla Corte territoriale non risponde né alla previsione dell’art. 24, co.3, Cost. né dell’art.6 CEDU né, infine, alla ratio dell’istituto che è quella di esentare dalle spese di difesa coloro i quali, diversamente, non potrebbero avere accesso alla difesa.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Deciso il 13 febbraio 2025
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