Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14370 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14370 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Petralia Sottana il 30/05/1976 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 17/06/2024 del Tribunale di Termini Imerese
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il difensore ha avanzato rituale richiesta di trattazione orale in presenza, ai sensi dell’art. 611., commi 1-bis e 1-ter, cod. proc. pen.;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alla memoria in data 09/12/2024, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udita la discussione del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME in sostituzione del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricors chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Termini Imerese ha confermato, quale giudice di appello, la sentenza emessa in data 20/03/2023 dal Giudice di Pace di Ganci che, all’esito di giudizio dibattimentale, aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del delitto di cui all’art 636, secondo e terzo comma cod. pen. con conseguente irrogazione della pena della multa di euro 200,00 e aveva condannato lo stesso al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile NOME COGNOME, da liquidarsi in separata sede.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione l’imputato, tramite i difensori fiduciari, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. l’inosservanza dell’art. 521 codice di rito.
Deducono le difese ricorrenti che il Tribunale ha disatteso il motivo di appello con il quale era stata eccepita la nullità della pronuncia di primo grado per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza poiché il Giudice di Pace aveva modificato, di propria iniziativa e, quindi, senza alcun intervento del pubblico ministero, l’imputazione indicandola nel delitto di cui all’art. 636, secondo e terzo comma, cod. pen, quando invece la contestazione originaria era relativa al comma primo del medesimo articolo.
Il Tribunale ha escluso la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. con argomentazione che non coglie nel segno in quanto l’imputazione oggetto del decreto di citazione a giudizio (art. 636, comma primo, cod. pen.) avrebbe dovuto essere oggetto di modifica da parte del pubblico ministero atteso che le ipotesi previste dai commi secondo e terzo di tale fattispecie comportano l’applicazione di pene più gravi rispetto a quella prevista nel primo comma.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. l’inosservanza dell’art. 597, comma 3, codice di rito.
Il Tribunale, quale giudice di appello, avrebbe qualificato il fatto in termini più gravi rispetto al Giudice di Pace, così contravvenendo al divieto di reformatio in peius.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione di legge con riferimento all’art. 636 cod. pen. in punto di dolo specifico e mancanza di motivazione.
Il Tribunale, quale giudice di appello, a fronte della pronuncia di primo grado che aveva configurato il dolo generico, ha qualificato il fatto nelle ipotesi previste dal secondo e terzo comma dell’art. 636 cod. pen. (così operando una riforma in peius, come già evidenziato nel secondo motivo di ricorso), senza neppure motivare in ordine alla ricorrenza del dolo specifico e confrontarsi con la doglianza difensiva che aveva sottolineato la vetustà ed il parziale danneggiamento della recinzione del terreno di proprietà di Macalone.
2.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione di legge con riferimento agli artt. 81 e 636 cod. pen. per illegalità della pena inflitta e mancanza di motivazione.
La sanzione irrogata (euro 200,00 di multa) è superiore ai limiti edittali previsti dall’art. 636, comma primo, cod. pen.
Non risulta neppure determinato e motivato il quantum stabilito a titolo di continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondato è il primo motivo di impugnazione.
2.1. Va ricordato il principio dettato da questa Corte a Sezioni Unite secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. n. 248051, principio di diritto da ultimo ribadito da Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846-04).
Con specifico riguardo al profilo dedotto dal ricorrente, si è affermato che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, posto che l’immutazione si verifica solo laddove ricorra tra imputazione e decisum un
rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto possibilità d’effettiva difesa (cfr, ex multis, Sez. 2, n. 10998 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427).
2.2. Nel caso di specie, correttamente il Tribunale, in funzione di giudice di appello, ha escluso che il Giudice di Pace fosse incorso nella violazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen.
Ed invero, l’imputazione elevata dal Pubblico Ministero reca nella rubrica il riferimento tout court alla fattispecie prevista dall’art. 636 cod. pen. (come tale idoneo a ricomprendervi tutte le ipotesi contemplate nella norma) e nella parte descrittiva contiene l’indicazione specifica della condotta, esplicitamente declinata in quella di introduzione di animali nel fondo altrui al fine di farli pascolare e d danneggiamento delle piante di ortaggi ivi esistenti.
È pertanto evidente che l’addebito contestato, valutato nella sua interezza, ha ad oggetto i fatti contestati nelle ipotesi dal secondo e terzo comma del citato art. 636 cod. pen. e proprio in tali termini il Giudice di Pace ha affermato la responsabilità dell’imputato.
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il Tribunale, in funzione di giudice di appello, non ha affatto qualificato il fatto in termini più gravi rispetto al Giudice di Pace la cui pronuncia (che è correttamente correlata all’imputazione, per le ragioni già indicate) è stata semplicemente confermata, sicchè non si veda in cosa possa concretamente consistere la lamentata violazione del divieto di reformatio in peius.
Non può, del resto, sottacersi l’incedere palesemente contraddittorio del ricorrente laddove con il primo motivo assume che il Giudice di pace avrebbe pronunciato condanna per le più gravi ipotesi di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 636 cod. pen., anziché per quella prevista dal primo comma, mentre con il secondo motivo deduce l’esatto contrario e cioè che il Tribunale avrebbe mutato la qualificazione del fatto in peius poiché dalla motivazione della sentenza appellata risulterebbe la configurazione, da parte del giudice di primo grado, dell’ipotesi contemplata nel primo comma dell’art. 636 cod. pen.
Inammissibile perché del tutto generico è il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione di legge e la mancanza di motivazione della sentenza impugnata in punto di elemento soggettivo del reato.
Premesso che è stato dedotto anche il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. che è escluso dalle censure proponibili con il ricorso per cassazione
avverso le sentenze che in grado di appello hanno giudicato reati di competenza del Giudice di Pace, ai sensi dell’art. 39-bis del D. Lgs. n. 274/2000, il Tribunale ha esaminato il profilo del dolo specifico richiesto per l’ipotesi prevista dall’art. 636, comma secondo, cod. pen.
Al riguardo (pagg 4 e 5 della sentenza impugnata) ha evidenziato come il compendio probatorio raccolto nel dibattimento di primo grado dava conto che l’imputato aveva lasciato incustodito un gregge di specie ovina sul proprio fondo, ben consapevole che da tale terreno ( la cui recinzione non era integra) gli animali avrebbero certamente invaso l’appezzamento confinante per pascolarvi, sicchè tale circostanza, ampiamente dimostrata, lumeggiava l’intento di far pascolare le proprie pecore nella proprietà altrui.
Tale costrutto argomentativo si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui l’aver lasciato un gregge incustodito, agevolandone l’introduzione nel fondo altrui, non esclude la sussistenza del dolo specifico in quanto l’abbandono delle pecore in circostanze ambientali obiettivamente favorevoli all’ingresso in altro terreno, dolosamente effettuato nella certezza che gli animali guidati dall’istinto avrebbero invaso il terreno del proprietario confinante per pascolarvi, costituisce una modalità della condotta compatibile con la coscienza e volontà dell’agente di compiere l’azione contestata perseguendo il fine di realizzare il pascolo abusivo (Sez. 2 n. 33744 del 07/05/2015, Locci non mass.)
5. Inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso.
La deduzione relativa alla illegalità della pena è manifestamente infondata. Sul punto è appena il caso di evidenziare che, avendo il Giudice di Pace ravvisato le ipotesi previste dall’art. 636, commi secondo e terzo, cod. pen., la sanzione irrogata di euro 200,00 di multa rientra, per specie e quantità, nei limiti edittali della componente pecuniaria ivi prevista.
Il dedotto vizio di motivazione non è proponibile in questa sede ai sensi dell’art. 39-bis del D. Lgs. n. 274/2000.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute per il grado dalla parte civile COGNOME che liquida in complessivi euro 3.167,00, oltre accessori di legge.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME che liquida in
complessivi euro 3.167,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 08/01/2025.