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Particolare tenuità: motivazione anche implicita

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha ribadito che la motivazione del giudice può essere anche implicita, desumendosi dalla scelta di applicare una pena superiore al minimo edittale, indice di una valutazione di non particolare tenuità del fatto commesso.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare Tenuità del Fatto: Quando la Motivazione del Giudice Può Essere Implicita

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del sistema penale, evitando la punizione per fatti di reato considerati di minima offensività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3626/2024) torna a fare chiarezza su un aspetto processuale cruciale: la motivazione con cui il giudice esclude l’applicazione di tale beneficio. La Corte ha confermato un orientamento consolidato: non è sempre necessaria una spiegazione esplicita e dettagliata, potendo questa desumersi implicitamente da altri elementi della sentenza, come la determinazione della pena.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza emessa dal Giudice di Pace di Alba. L’imputato, attraverso il suo difensore, aveva proposto appello, successivamente convertito in ricorso per cassazione, lamentando principalmente due aspetti: la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e l’eccessività del trattamento sanzionatorio irrogato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi giudicati temerari o privi di fondamento.

Le Motivazioni: La Particolare Tenuità del Fatto e la Motivazione Implicita

Il cuore della pronuncia risiede nella motivazione con cui la Corte ha respinto il primo motivo di ricorso. I giudici di legittimità hanno richiamato la propria giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, secondo cui la motivazione sulla esclusione della particolare tenuità del fatto può risultare “anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice del merito (…) abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato”.

In altre parole, se un giudice, nel decidere la pena, la fissa in una misura superiore al minimo previsto dalla legge, sta già compiendo una valutazione sulla gravità del reato. Questa valutazione è implicitamente incompatibile con il riconoscimento della “particolare tenuità”. Pertanto, la scelta di una pena non minima funge essa stessa da motivazione, anche se “in guisa implicita”, della volontà di non applicare il beneficio.

La Corte ha specificato che questo principio, nato in relazione all’art. 131-bis c.p., è applicabile per analogia anche alla causa di improcedibilità per particolare tenuità del fatto prevista per i reati di competenza del Giudice di Pace (art. 34 d.lgs. 274/2000), data la somiglianza tra i due istituti.

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla presunta eccessività della pena, la Cassazione ha ribadito che la valutazione dei criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere del reo) è una questione di merito, riservata al giudice di primo e secondo grado. Non può essere contestata in sede di legittimità, a meno che non si denunci un vizio logico o giuridico specifico nella motivazione della sentenza, cosa che nel caso di specie non era avvenuta. Il ricorrente si era limitato a proporre una diversa e più favorevole valutazione dei fatti, attività non consentita davanti alla Corte di Cassazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza pratica. La difesa non può limitarsi a dolersi della mancata applicazione della particolare tenuità del fatto se il giudice ha già inflitto una pena superiore al minimo edittale. In questi casi, l’onere di impugnazione si aggrava: sarà necessario dimostrare un’evidente illogicità nel ragionamento che ha portato il giudice a ritenere il fatto non tenue, nonostante la valutazione sulla pena.

Questa pronuncia, quindi, da un lato semplifica il lavoro dei giudici di merito, che non sono costretti a redigere un paragrafo autonomo sull’esclusione del 131-bis quando la loro valutazione emerge già dalla commisurazione della pena; dall’altro, richiede una maggiore attenzione da parte dei difensori nel formulare motivi di ricorso specifici e non limitati a una generica contestazione della gravità del fatto.

Un giudice deve sempre spiegare esplicitamente perché non applica la particolare tenuità del fatto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la motivazione può essere anche implicita e desumersi dalla decisione di applicare una pena superiore al minimo previsto dalla legge, poiché tale scelta indica già una valutazione di non tenuità del reato.

Cosa si intende per ‘motivazione implicita’ in questo contesto?
Significa che il ragionamento del giudice non è scritto in una sezione separata, ma si ricava da altre parti della sentenza. Nello specifico, la valutazione della gravità del reato e della colpevolezza dell’imputato, che porta a una pena superiore al minimo, funge da motivazione implicita per escludere il beneficio della particolare tenuità.

È possibile contestare l’entità della pena in Cassazione?
No, non se la contestazione si limita a sostenere che i criteri di valutazione (come la gravità del reato) potevano essere interpretati in modo più favorevole all’imputato. Questo tipo di valutazione è considerato ‘di merito’ e non può essere riesaminato dalla Corte di Cassazione, che giudica solo sulla corretta applicazione della legge (‘legittimità’).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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