Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29537 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29537 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a AVV_NOTAIO il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 10/11/2023 della Corte di appello di Brescia; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso.
Preliminarmente il Presidente dà atto alle parti presenti della possibilità di riqualificazione giuridica del fatto ai sensi degli articoli 2 e 7 della legge n. 8 del 1967.
Il PG e la difesa nulla osservano.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza;
udito il difensore, AVV_NOTAIO, che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato quella con la quale, in data 22 marzo 2023, il Tribunale di AVV_NOTAIO aveva condannato NOME COGNOME alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 3 legge 2 ottobre 1967, n. 895, così giuridicamente riqualificata l’originaria
imputazione, che era stata elevata ai sensi degli artt. 2 e 7 della medesima legge «perché illegalmente deteneva all’interno della sua abitazione un’arma comune da sparo e, nello specifico, il fucile monocanna (non automatico) marca Zanardini cal. TARGA_VEICOLO Winchester, avente numero di matricola NUMERO_DOCUMENTO; in Pieve San Giacomo, il 28.06.2020».
Secondo quanto è dato evincere dagli atti, con decreto del 15 settembre 2014 il AVV_NOTAIO di AVV_NOTAIO vietava a NOME COGNOME di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, ordinandogli di rottamare o di cedere a terzi non conviventi entro 150 giorni quelle già legittimamente detenute e intimandogli di comunicare l’avvenuto adempimento all’autorità di pubblica sicurezza.
Il 25 settembre 2014 i Carabinieri della Stazione di Sospiro, incaricati della notifica e dell’esecuzione dell’atto, nonché del ritiro cautelare delle armi detenute dal COGNOME, ritiravano il fucile semiautomatico che l’odierno ricorrente spontaneamente consegnava loro.
Il 28 giugno 2020 i Carabinieri della Stazione di Sospiro sottoponevano a perquisizione l’abitazione del COGNOME, rinvenendovi la carabina di cui al capo d’imputazione, la cui detenzione il ricorrente aveva denunciato in data 5 luglio 2008.
Il primo giudice, accertati i fatti, li riqualificava giuridicamente ai sen dell’art. 3 della legge n. 895 del 1967, reato omissivo permanente che punisce chiunque trasgredisce all’ordine legalmente dato dall’autorità di consegnare nei termini prescritti le armi già legittimamente detenute.
La Corte di appello di Brescia confermava la sentenza di condanna, rigettando i motivi di gravame con i quali l’imputato aveva contestato la sussistenza del reato, anche in relazione all’elemento soggettivo, ed aveva in subordine dedotto l’intervenuta estinzione del reato per l’integrale decorso dei termini di prescrizione, l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’a 131 bis cod. pen., e l’eccessiva asprezza del trattamento sanzionatorio.
Il difensore di fiducia del COGNOME, AVV_NOTAIO, ha presentato tempestivo ricorso per cassazione avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Brescia, articolando due motivi con i quali deduce vizio di motivazione e violazione di legge.
Con il primo motivo si duole dell’affermata sussistenza del reato di cui all’art. 3 della legge n. 895 del 1967, evidenziando che il decreto prefettizio del 15 settembre 2014, emesso ed eseguito nelle forme previste dall’art. 39 T.U.L.P.S., non conteneva alcuna prescrizione che obbligasse il COGNOME a consegnare le armi possedute, obbligo che il AVV_NOTAIO avrebbe potuto legittimamente imporre ai sensi del successivo art. 40 T.U.L.P.S.: non è, dunque, possibile ritenere
integrato il reato per il quale è intervenuta condanna, che sanziona esclusivamente chi trasgredisce all’obbligo di consegnare le armi impartitogli con un provvedimento dell’autorità che deve necessariamente indicare in maniera chiara termini, luogo e modalità della consegna, indicazioni del tutto assenti nel caso di specie.
Si duole, altresì, dell’affermata sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, trattandosi di statuizione «priva di qualsiasi approfondimento relativo alla consapevolezza dell’imputato in ordine al dovere, non espresso nel decreto prefettizio che aveva invece scelto la forma dell’apprensione diretta ad opera degli agenti di P.S. delegati all’esecuzione, di consegnare tutte le armi da lui legittimamente detenute».
Con il secondo motivo si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., che i giudici distrettuali hanno sinteticamente motivato sostenendo che «non può in nessun modo predicarsi la minimale offensività della mancata consegna, in violazione di provvedimenti autoritativi, di un’arma da sparo funzionante»; ad avviso del ricorrente, secondo l’oramai consolidato orientamento di legittimità, non è possibile escludere a priori l’applicazione dell’istituto per alcune tipologie di reato, essendo, invece, necessario valutare la concreta offensività della condotta illecita, guardando alle modalità della condotta, alla esiguità del pericolo cagionato, alla capacità a delinquere dell’imputato, ai suoi precedenti penali, alla sua condotta antecedente al reato: valutazione del tutto omessa dai giudici bresciani.
All’odierna udienza il Collegio ha espressamente avvisato le parti della possibile riqualificazione giuridica dei fatti in contestazione ai sensi degli artt. 2 7 della legge n. 895 del 1967, in conformità con l’imputazione originariamente elevata nei confronti del COGNOME.
Le parti ne hanno preso atto, senza nulla osservare.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto riqualificarsi i fatti ai sensi degli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967 e annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
Il difensore del COGNOME si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
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2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
A mente dell’art. 39 T.U.L.P.S., «1. Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne. 2. Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma, dandone immediata comunicazione al prefetto. Quando sussistono le condizioni di cui al primo comma, con il provvedimento di divieto il prefetto assegna all’interessato un termine di 150 giorni per l’eventuale cessione a terzi dei materiali di cui al medesimo comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al prefetto l’avvenuta cessione. Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, la confisca dei materiali ai sensi dell’articolo 6, quinto comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152».
Il successivo art. 40 T.U.L.P.S. prescrive che «Il prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell’autorità di pubblica sicurezza o dell’autorità militare».
Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il contenuto del decreto prefettizio si riflette sulla qualificazione giuridica della condotta di colui ometta di osservarlo.
Ed invero, posto che l’art. 2 della legge n. 895 del 1967 punisce «Chiunque illegalmente detiene a qualsiasi titolo le armi o parti di esse, le munizioni, gl esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell’articolo precedente», e che il successivo art. 3 punisce, con la stessa pena (reclusione da 1 a 8 anni, multa da C 3.000 a C 20.000), «Chiunque trasgredisce all’ordine, legalmente dato dall’autorità, di consegnare nei termini prescritti le armi o parti di esse, l munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell’articolo da lui detenuti legittimamente sino al momento della emanazione dell’ordine», diviene decisivo accertare se il decreto prefettizio del quale si discute abbia o meno impartito l’ordine di consegnare entro un determinato termine all’autorità le armi già legittimamente detenute.
Si è, invero, statuito – in relazione all’ordine, legalmente dato, di consegnare nei termini prescritti armi bianche, sanzionato dall’art. 698 cod. pen.: ma si tratta, evidentemente, di principio applicabile alle armi comuni da sparo ed al reato di cui all’art. 3 della legge n. 895 del 1967 – che «Ai fini dell configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 698 cod. pen. la mancata indicazione di un preciso termine per adempiere è irrilevante, non facendo venir meno la legalità del provvedimento impositivo dell’obbligo, ove la
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determinazione di siffatto termine risulti assorbita dal connotato di “immediatezza” nell’esecuzione, che l’ordine può talora rivestire in considerazione delle concrete circostanze di fatto che ne hanno giustificato l’adozione. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto che le pregnanti ragioni di pericolo per l’incolumità individuale e per l’ordine pubblico poste a fondamento del provvedimento impositivo dell’obbligo, emesso a seguito di una denuncia in cui erano state prospettate le ipotesi delittuose di detenzione illegale di armi e di minaccia grave, postulavano inequivocamente l’urgenza e l’indilazionabilità – e quindi l’immediatezza – della sua esecuzione)» (Sez. 1, n. 1418 del 12/01/1998, 3ezzi, Rv. 209887 – 01).
Nelle motivazioni della sentenza appena citata, è stato chiarito che «Il reato di omessa consegna di armi in violazione del legittimo ordine della competente autorità costituisce un’ipotesi speciale di inosservanza del provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di ordine pubblico di cui all’art. 650 c.p. La condotta dolosa di omessa consegna, avente ad oggetto armi da guerra o comuni da sparo, loro parti, munizioni da guerra ed esplosivi, integra gli estremi del delitto previsto dall’art. 3 I. 895/67 – sost. dall’art. 11 I. 497/74 combinato disposto dell’art. 7 quando si tratti di armi comuni da sparo. L’ipotesi dolosa di trasgressione dell’ordine legalmente dato dall’autorità di consegnare le armi non da sparo o “bianche” – ossia quelle proprie la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona – e le munizioni per armi comuni da sparo, ovvero le materie esplodenti non costituenti anche esplosivo, integra a sua volta gli estremi delle contravvenzioni previste, rispettivamente, dagli artt. 698 e 679, comma 3, c.p., le quali sussistono altresì ogni qualvolta l’omessa consegna sia di natura colposa anziché dolosa»; si è, altresì, evidenziato che «la struttura della fattispecie criminosa è sostanzialmente identica consistendo essa, per tutte e tre le ipotesi normative sopra considerate sia codicistiche che di legge speciale, nella trasgressione “all’ordine legalmente dato dall’Autorità di consegnare nei termini prescritti” le armi, le munizioni, gli esplosivi o le materie esplodenti, legittimamente detenuti sino all’emanazione dell’ordine. Quest’ultimo, ai sensi degli artt. 40 T.U.L.P.S. e 60 del relativo regolamento, è di competenza del prefetto, è dato “per ragioni di ordine pubblico”, può essere individuale o AVV_NOTAIO e deve contenere l’indicazione dei termini, delle modalità e del luogo della consegna. Il reato, in ciascuna delle tre fattispecie suindicate, si configura pertanto come “omissivo proprio” e “permanente”, perfezionandosi esso al momento in cui scade inutilmente il termine prescritto per la consegna e perdurando per tutto il tempo dell’inottemperanza al relativo ordine, con la conseguenza che la consegna tardiva produce solo la cessazione della Corte di Cassazione – copia non ufficiale
permanenza senza elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. 27.3.1963, Rodella)».
Dunque, osservò ragionevolmente la Corte, «Presupposto della condotta omissiva penalmente rilevante – elemento normativo della fattispecie incriminatrice – (è) la “legalità” del provvedimento impositivo dell’obbligo di consegna delle armi, comunicato all’interessato unitamente a tutte le indicazioni prescritte per la compiuta ottemperanza del medesimo – termini, luogo e modalità di consegna -, in assenza delle quali non è per contro configurabile un valido ed efficace esercizio dello specifico potere d’intervento dell’autorità per prevenire abusi delle armi e non sembra conseguentemente ragionevole sanzionarne l’inosservanza da parte dal privato cittadino».
Ebbene, nella fattispecie esaminata dalla sentenza n. 1418/1998, pur non essendo stato indicato nel decreto alcun termine per l’adempimento dell’ordine di consegna delle armi, si ritenne sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato di omessa consegna, la circostanza che ne fosse espressamente prescritta una esecuzione «immediata», a cagione delle «pregnanti ragioni di pericolo per l’incolumità individuale e per l’ordine pubblico» che ne avevano giustificato l’adozione, ragioni che «postulavano inequivocamente l’urgenza e l’indilazionabilità ergo l’immediatezza – della sua esecuzione da parte degli organi di polizia all’uopo incaricati».
Nel caso di specie, invece, il decreto prefettizio ha imposto al COGNOME il divieto di detenere armi, gli ha concesso la facoltà di cedere le armi legittimamente detenute entro 150 giorni a terzi non conviventi, ovvero di procedere entro il medesimo termine, a sue spese, alla loro disattivazione o rottamazione, e lo ha avvisato che, decorso vanamente detto termine, le armi sarebbero state confiscate e versate al Cerimant.
In particolare, nel decreto in questione è dato leggere quanto segue: «Il AVV_NOTAIO della Provincia di AVV_NOTAIO tenuto conto che la Questura di AVV_NOTAIO, in data 23 luglio 2014, ha comunicato che l’interessato è stato deferito alla locale Procura della Repubblica per i reati di minacce gravi ed ingiurie, in quanto lo stesso avrebbe minacciato di morte una persona, facendo esplicito riferimento al proprio fucile; rilevato che la citata Questura, nel ritenere che i predetto non dia piano affidamento in relazione al possesso di armi, ed al fine di prevenire il compimento di eventuali abusi, ha proposto l’adozione, nei confronti del medesimo, del provvedimento che, ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S, ne impedisce la detenzione; visto l’art. 39 del T.U.L.P.S., approvato con Regio Decreto n. 773/1931, che dà facoltà al AVV_NOTAIO di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti alle persone che non offrono sufficienti garanzie di affidabilità per il loro possesso; attesa, pertanto, la necessità di adotta
nei confronti del sig. COGNOME un provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, finalizzato a prevenire il compimento, da parte del medesimo, di atti potenzialmente pericolosi per la sicurezza e l’incolumità pubblica; DECRETA 1) al sig. NOME COGNOME è fatto divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti a qualsiasi tipo possedute; 2) è data facoltà al medesimo di cedere le armi e le munizioni detenute, entro 150 giorni dalla notificazione del presente provvedimento, a terzi non conviventi, con l’osservanza delle disposizioni di legge vigenti in materia. Il sig. COGNOME, nel caso in cui non intenda procedere alla cessione delle armi in questione, potrà provvedere, a sue spese, alla loro disattivazione o rottamazione. Della predetta cessione o disattivazione o rottamazione dovrà essere data comunicazione alla Prefettura entro la su indicata scadenza; 3) decorso il suddetto termine, le predette armi e munizioni si intenderanno confiscate e dovranno essere versate al Cerimant, qualora l’interessato non abbia esercitato la facoltà di cui al punto 2). La Stazione di Sospiro è incaricata della notifica e dell’esecuzione del corrente decreto mediante il ritiro e la custodia di tutte le armi, le munizioni e le materie esplodenti di cui l’interessato risulta detentore».
Il provvedimento in questione non contiene, dunque, un «ordine di consegnare nei termini prescritti le armi» già legittimamente detenute, emesso ai sensi dell’art. 40 T.U.L.P.S.: non sono indicati i termini entro i quali il Suar avrebbe dovuto consegnare le armi, né tanto meno è indicato in quale luogo e in quale modo egli avrebbe dovuto consegnarle.
Il AVV_NOTAIO di AVV_NOTAIO si è limitato ad imporgli, ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S., il divieto di detenere armi; lo ha invitato a cedere o a rottannare le armi legittimamente detenute, entro 150 giorni; lo ha avvisato che, decorso vanamente detto termine, le armi sarebbero state confiscate; ha, infine, delegato l’esecuzione dell’atto ai Carabinieri della Stazione RAGIONE_SOCIALE Sospiro, incaricandoli, così come previsto dall’art. 39 T.U.L.P.S., di procedere al «ritiro cautelare» delle armi detenute dal COGNOME.
Dieci giorni dopo l’emanazione del decreto, i Carabinieri della Stazione di Sospiro ne diedero esecuzione, procedendo al ritiro cautelare del fucile semiautomatico Bene/li cal. TARGA_VEICOLO il cui possesso il COGNOME aveva denunciato nel settembre 2002.
La carabina per la quale è processo (il cui possesso il COGNOME aveva denunciato in data 5 luglio 2008) non fu, invece, consegnata dal COGNOME né fu reperita dai Carabinieri, che solo sei anni dopo, il 28 giugno 2020, la rinvennero nell’abitazione dell’odierno ricorrente a seguito di perquisizione domiciliare.
Conseguenzialmente, alla luce delle considerazioni fin qui sviluppate – e del principio di diritto che può essere così compendiato: “In tema di reati
concernenti le armi, commette il delitto di cui all’art. 2 legge 2 ottobre 1967, n. 895 il soggetto che detenga un’arma dopo che il prefetto, ai sensi dell’art. 39 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, gli abbia fatto divieto di possederne, mentre commette il delitto di cui all’art. 3 della stessa legge il soggetto che non ottemperi al decreto con il quale il prefetto gli abbia imposto, ai sensi dell’art. 4 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di consegnare all’autorità di pubblica sicurezza armi, munizioni e materie esplodenti da lui detenute, indicando nel dettaglio termini, luogo e modalità della consegna” – al COGNOME deve contestarsi, in perfetta armonia con il già riportato capo d’imputazione elevato nei suoi confronti, di aver illegalmente detenuto la carabina in oggetto, nonostante il divieto di detenere armi impostogli dal AVV_NOTAIO: condotta incriminata ai sensi degli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967.
Del reato in questione sussistono senz’altro tanto l’elemento materiale, poiché il COGNOME è stato trovato in possesso di un’arma che non era legittimato a detenere, quanto l’elemento soggettivo, poiché, al di là della circostanza, di per sé non decisiva, che nel decreto prefettizio del 15 settembre 2014 fu erroneamente indicato che il COGNOME all’epoca dei fatti deteneva una sola arma (il fucile semiautomatico Bene//i completo di canna, ritirato dai verbalizzanti in sede di esecuzione del decreto), appare decisivo che, nella parte dispositiva, il decreto prefettizio vietasse, chiaramente ed inequivocabilmente, al COGNOME «di detenere armi, munizioni e materie esplodenti a qualsiasi titolo possedute» (esprimendosi, dunque, al plurale, e formulando il divieto in termini assoluti), sicché non può seriamente sostenersi che il ricorrente – a cagione dell’errore contenuto nell’incipit del provvedimento – non abbia pienamente compreso che dal momento in cui gli veniva notificato quel decreto non era più legittimato a detenere alcun tipo di arma.
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di statuire che «La coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall’art. 5 cod. pen., quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell’agente di compiere un’azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata. Pertanto, anche in materia di armi e munizioni, per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, valgono i principi generali posti dagli artt. 42 e 43 cod. pen., per cui – a eccezione di ipotesi specifiche – è richiesto il dolo generico, e cioè la coscienza e
la volontà del comportamento e la previsione dell’evento da parte dell’agente quale conseguenza della sua azione od omissione, e non si richiede la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta e tanto meno la volontà di violare una determinata norma di legge, giacché altrimenti rimarrebbe svuotato di contenuto e di efficacia il precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nel citato art. 5 cod. pen.» (Sez. 1, n. 15885 del 01/03/2007, Re, Rv. 236432 – 01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, i fatti per i quali è processo devono essere riqualificati ai sensi degli articoli 2 e 7 della legge n. 895 del 1967, reato originariamente contestato al COGNOME, in relazione al quale egli ha compiutamente spiegato le proprie difese, non solo in entrambi i gradi di merito, ma anChe nell’odierna udienza, a seguito dell’avviso che il Collegio ha rivolto alle parti prima che avesse inizio la discussione.
Avendo a mente che, ai sensi dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. «Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica», rimane da osservare che l’intervenuta riqualificazione (rectius, il ritorno alla originaria imputazione) non entra in tensione con i principi ricavabili dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
E’ noto che, secondo le norme convenzionali e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’imputato ha diritto ad un processo equo, il che, ai fini che qui rilevano, comporta che egli ha diritto di essere informato nel più breve tempo possibile non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si è basato l’esercizio dell’azione penale, ma anche della qualificazione giuridica data a quei fatti, perché solo una corretta e completa informazione gli consente di esercitare in maniera concreta ed efficace il diritto di difesa (Corte europea diritti uomo, Grande Camera, 25 marzo 1999, Pelissier e COGNOME c. Francia, nonché Sez. II, 1 marzo 2001, Dallos c. Ungheria, e Sez. I, 20 aprile 2006, I.H. c. Austria)
Come ebbe a chiarire la nota sentenza COGNOME, al fine di valutare se vi sia stata o meno violazione della Convenzione, il giudice deve procedere ad un triplice accertamento, verificando se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente la riqualificazione dell’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti, la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi
confronti, nonché le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena (Corte EDU, Seconda Sezione, 11 dicembre 2007, COGNOME c. Italia).
Questa Corte ha conseguenzialmente statuito, in plurime occasioni, la piena legittimità dell’operazione riqualificatoria, «sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio» (così, da ultimo, in relazione alla riqualificazione operata dai giudici di appello, Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, E., Rv. 286026 01).
Applicando questi generali principi al caso di specie, occorre rilevare la sicura prevedibilità della riqualificazione (trattandosi, come si è già precisato, del ritorno alla stessa contestazione originariamente delineata dal pubblico ministero al momento dell’esercizio dell’azione penale), il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del COGNOME (che proprio in relazione al reato di cui agli artt. 2 e 7 dell legge n. 895 del 1967 ha articolato la propria strategia difensiva nei giudizi di merito) e della garanzia del contraddittorio (da ultimo assicurato anche nel giudizio di legittimità, grazie all’avviso dato alle parti prima dell’odiern discussione), nonché l’indifferenza della qualificazione giuridica rispetto al trattamento sanzionatorio ed al computo dei termini di prescrizione (come si è detto, i delitti dei quali si discute sono puniti con la medesima pena della reclusione da uno a otto anni, e della multa da C 3.000 a C 20.000).
Peraltro, come ebbe a rilevare in motivazione Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254649 – 01, non può delinearsi alcuna violazione dei principi del giusto processo quando «la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti”) epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibil del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile».
5. E’ fondato anche il secondo motivo di ricorso.
La motivazione resa dal giudice di appello in merito alla invocata causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. è chiaramente
insufficiente, in quanto basata su una presunzione di pericolosità in astratto del comportamento contestato, senza alcun riferimento al caso concreto: come si è indicato in premessa, i giudici distrettuali hanno ritenuto che «non può in nessun modo predicarsi la minimale offensività della mancata consegna, in violazione di provvedimenti autoritativi, di un’arma da sparo funzionante».
L’oramai univoco orientamento di questa Corte esclude che le norme delle quali è stata invocata l’applicazione introducano una siffatta presunzione, poiché, secondo il principio di diritto scolpito dal massimo organo della nomofilachia, «accertata la situazione pericolosa e dunque l’offesa, resta pur sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattua in cui la condotta si iscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato» (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266595 – 01).
Il giudizio espresso nell’impugnata sentenza è del tutto privo di qualsiasi riferimento alla concreta ed effettiva verifica del quadro complessivo in cui si è manifestato l’illecito, non essendo stata svolta alcuna indagine in merito alle modalità della condotta, all’entità dell’offesa cagionata al bene giuridico protetto dalla norma violata, al grado di colpevolezza
Ciò posto, avuto a mente che «La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., può essere ritenuta nel giudizio di legittimità, senza rinvio del processo alla sede di merito, quando risulti dedotta nei motivi di appello e sempre che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali» (così, da ultimo, Sez. 6, n. 36518 del 27/10/2020, Rodio, Rv. 280118 – 02), si rileva che, nel caso di specie, appare superflua la restituzione del giudizio nella sede di merito, potendo procedersi ad una valutazione non estranea al sindacato di legittimità.
Tenuto conto degli elementi che sono stati valorizzati dalle decisioni di merito, è possibile pervenire ad una declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., facendo applicazione delle regole proprie dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., poiché ricorrono i presupposti per qualificare la condotta del COGNOME in termini di minore riprovevolezza, in considerazione della sua penale incensuratezza, della effettiva possibilità che egli sia stato indotto in errore (pur se colpevole ed inidoneo ad escludere l’elemento soggettivo del reato) da quanto indicato nella parte motiva del decreto prefettizio (che, come si è detto, faceva riferimento solo ad una delle due armi detenute dal ricorrente), della intervenuta assoluzione nel procedimento per minacce scaturito dalla denuncia della persona offesa che determinò il AVV_NOTAIO di AVV_NOTAIO ad adottare il decreto del 15
settembre 2014, dell’assenza di elementi che inducano a dubitare di quanto fin da subito dichiarato dal COGNOME, che ai verbalizzanti riferì che la carabina, di fatto affidata a suo padre, era rimasta per tutti quegli anni – del tutto inutilizzata sull’armadio della camera da letto del genitore.
La condotta delittuosa posta in essere dal COGNOME è, dunque, connotata da un minimo disvalore sociale, è rimasta sostanzialmente priva di conseguenze dannose, ed è stata caratterizzata da modalità riferibili ad atteggiamenti psicologici che riflettono un grado molto tenue dell’elemento soggettivo, sicché deve senz’altro concludersi nel senso che il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen.
L’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata non travolge la confisca dell’arma già disposta dal Tribunale di AVV_NOTAIO e confermata dalla Corte di Appello di Brescia.
Ed invero, posto che, in via AVV_NOTAIO, si è statuito che «La affermazione della particolare tenuità del fatto o, come anche si esprime il legislatore nel testo della disposizione contenuta nell’art. 131-bis cod. pen., della offesa da esso derivante a carico del bene interesse tutelato dalla norma, è fattore tale da elidere, per evidenti ragioni di politica criminale la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, la sola punibilità della condotta, cioè l corrispondenza ad essa del diritto-dovere da parte dell’ordinamento di irrogare la sanzione penale, ma non è anche fattore idoneo ad escludere nella medesima condotta la esistenza di tutte le altre caratteristiche proprie dell’illecito penale che anzi ne viene, in qualche modo, accertato nei suoi profili strutturali» (Sez. 3, n. 16463 del 31/05/2016, dep. 2017, Candiano, n.m., relativa a fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice del merito il quale, riconosciuta la particolare tenuità del fatto, ha confermato la confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti), questa Corte ha già ripetutamente statuit che «La misura di sicurezza patrimoniale della confisca è imposta per tutti i reati concernenti le armi ed è obbligatoria anche in caso di proscioglimento dell’imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., restando esclusa soltanto nell’ipotesi di assoluzione nel merito per insussistenza del fatto» (Sez. 1, n. 54086 del 15/11/2017, Loukii, Rv. 272085 – 01): dunque, il presupposto materiale cui è subordinata l’applicazione dell’art. 6 legge 22 maggio 1975, n. 152, che rende obbligatoria la confisca a cagione della avvenuta commissione di un reato concernente le armi, viene a cadere solo nell’ipotesi di ritenuta insussistenza del fatto.
Deve, dunque, rimanere fermo quanto disposto dai giudici di merito a proposito della confisca della carabina.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto, giuridicamente riqualificato nei termini dei quali si è detto, non è punibile ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., ferma la confisca della carabina già disposta dai giudici di merito.
P.Q.M.
Riqualificato il fatto quale violazione degli artt. 2 e 7 della legge 2.10.1967, n. 895, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il fatto non punibile ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., ferma la confisca dell’arma.
Così deciso il 06/06/2024.