Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22243 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/04/2013 del GIUDICE DI PACE di BELLUNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio;
udito il difensore Trattazione scritta
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 aprile 2013 il Giudice di Pace di Belluno ha ritenuto NOME RAGIONE_SOCIALE colpevole del reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 per avere fatto ingresso ed essersi trattenuto nel territorio dello Stato in violazione della disciplina in materia di immigrazione.
La prova della penale responsabilità è stata desunta dalla documentazione di polizia giudiziaria acquisita con il consenso delle parti.
All’esito è stato accertato che il 22 marzo 2013 l’imputato si era presentato nella Questura di Belluno per accertamenti relativi alla propria posizione di straniero richiedente asilo ed era stato verificato che, in data 8 ottobre 2008, la Commissione territoriale di Siracusa aveva già respinto l’istanza di riconoscimento della protezione internazionale e che il ricorso avverso tale decisione era stato rigettato dal Tribunale di Catania il 23 febbraio 2009.
La mancanza di qualsiasi titolo per il soggiorno legale in Italia ha giustificato l’affermazione della responsabilità di NOME NOME la contravvenzione ascrittagli.
Dopo avere ottenuto la restituzione nel termine per impugnare, ha proposto ricorso per cassazione NOME RAGIONE_SOCIALE, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge con riferimento all’art. 10 bis d.lgs. n. 286 del 1998 esponendo l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
A tale proposito ha allegato la circostanza di avere tempestivamente richiesto asilo politico all’atto dell’ingresso in Italia e, una volta trasferit Belluno, di non essere stato a conoscenza dell’esito del relativo procedimento.
Ciò avrebbe determinato un errore di diritto la mancata conoscenza delle sorti del proprio permesso di soggiorno.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità dell’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
Ha lamentato la mancata indicazione delle ragioni poste a fondamento della mancata applicazione della norma citata allegando l’esistenza, nella fattispecie, delle condizioni per l’invocata declaratoria.
Il Procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è generico e risulta formulato in termini perplessi.
Esso si fonda, essenzialmente, sull’incertezza che avrebbe avuto il ricorrente in ordine all’esito definitivo del procedimento per il riconoscimento dell’istanza di protezione internazionale.
Nell’atto di impugnazione il ricorrente si lamenta, infatti, della mancata conoscenza dell’esito del procedimento davanti al Tribunale di Catania e del fatto che lo straniero si è rivolto alla Questura di Belluno proprio a seguito dell’incertezza circa tale esito.
Si tratta di argomento meramente assertivo, non fondato su alcun elemento concreto e, comunque, basato su una circostanza fattuale meramente ipotetica in quanto poggiante sulla considerazione che «non appare certamente inverosimile che egli, trasferitosi a Belluno, non sia stato più in grado di comprendere le sorti del suo ricorso».
Trascura, peraltro, di tenere conto del fatto che la fattispecie di reato è una contravvenzione e che rileva anche il solo elemento soggettivo della colpa, non essendo necessario il dolo.
Ne consegue che nessun rilievo può avere la circostanza – solo ipotizzata dal ricorrente – che NOME non fosse a conoscenza dell’esito della propria impugnazione contro il rigetto della richiesta di asilo politico.
3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Il ricorrente non ha dimostrato di avere g:hiesto l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000.
Risulta dalla disamina del verbale di udienza del 9 aprile 2013, conformemente a quanto emerge dalla lettura della sentenza, che il difensore dell’imputato ha concluso chiedendo «l’assoluzione con formula ritenuta di giustizia e, in subordine, il minimo della pena».
Trova applicazione il principio per cui «in tema di procedimento davanti al giudice di pace, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del “decisum” di improcedibilità la mancata opposizione dell’imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa; ne deriva che la
doglianza relativa all’improcedibilità per particolare tenuità del fatto non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità» (Sez. 1, n. 49171 del 28/09/2016, Chebouti, Rv. 268458 e altre conformi).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.,
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/04/2024