Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11117 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11117 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/05/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le richieste del PG COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Salerno, in riforma della pronuncia emessa in data 24 marzo 2022 dal Tribunale di Nocera Inferiore, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, per il reato di cui all’art. 635, comma 2, cod. pen., per essere l’imputato non punibile per la particolare tenuità del fatto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge, poiché la applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., non qualificabile come sentenza di
condanna, non permetterebbe di definire la domanda di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile, come invece è stato fatto dai giudici di appello.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura la condanna alla rifusione alle spese del giudizio in favore della parte civile.
La parte civile NOME COGNOME, infatti, non solo avrebbe rimesso la querela, disinteressandosi al prosieguo del processo, ma avrebbe accettato anche una somma di denaro, comprensiva, oltre che della provvisionale disposta in primo grado, anche delle spese di costituzione in giudizio. La Corte salernitana avrebbe dunque dovuto valutare la possibilità di compensare le spese.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
L’art. 131-bis cod. proc. pen. ha introdotto nell’ordinamento penale una specifica causa di non punibilità. Trattandosi di un’esimente e non di una scriminante, il reato dunque sussiste, ma l’autore non è punibile.
La Corte di appello aveva già adeguatamente chiarito le ragioni in punto di diritto poste a fondamento della conferma delle statuizioni civili, anche in caso di proscioglimento («stante l’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della riferibilità della condotta illecita all’imputato»), richiam anche la conforme giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 173 del 12 luglio 2022, secondo cui è costituzionalmente illegittimo l’art. 538 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.).
Ha precisato, infatti, il Giudice delle leggi che «il parallelismo tra la rego dell’estinzione del reato per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen e quella dell’efficacia della relativa sentenza di proscioglimento nel giudizio civil o amministrativo di danno (art. 651-bis cod. proc. pen.) disvela un deficit di tutela per la parte civile, quando si viene a ragionare della prescrizione processuale dettata dalla disposizione censurata . L’idoneità dell’istituto ad adempiere pienamente alla sua funzione riparativa senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno, trova infatti un limite nella impossibili derivante dalla norma suddetta, per il giudice penale di conoscere della domanda restitutoria o risarcitoria formulata dalla parte civile quando, con sentenza resa all’esito del dibattimento, dichiara la non punibilità dell’imputato per la particolar tenuità del fatto; impossibilità che discende dalla qualificazione formale della
sentenza, la quale è pur sempre di proscioglimento per estinzione del reato, anche se ha un contenuto positivo di accertamento dei suoi presupposti. E se è vero che nel processo penale l’azione civile assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, la regola posta dalla disposizione censurata però non è assoluta, ma deflette in varie fattispecie in cui si giustifica, all’opposto, che possa esservi una decisione sui capi civili, vuoi dello stesso giudice penale, vuoi in prosecuzione dell’originario giudizio penale in cui è stata azionata, dalla parte civile, la domanda risarcitoria (o restitutoria). La logica di fondo di tali eccezioni è quella di evitare, finché possibile e compatibile con l’esito del giudizio in ordine all’azione penale, una situazione di absolutio ab instantia in riferimento alla domanda della parte civile e di salvare il procedimento in cui quest’ultima ha promosso la pretesa risarcitoria o restitutoria, senza che la stessa sia gravata dell’onere di promuovere un nuovo giudizio. Al contrario, una risposta di giustizia manca proprio allorché il giudice penale prosciolga l’imputato per la particolare tenuità del fatto, perché in questo caso la regola censurata non consente al medesimo giudice di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile, in contrasto con il principio di eguaglianza e del diritto alla tute giurisdizionale, e con il canone della ragionevole durata del processo, a causa dell’arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria)».
I giudici di appello, lungi dall’aver pronunciato una statuizione illegittima, erano dunque tenuti a provvedere anche sulla domanda di risarcimento proposta dalla parte civile.
La censura è dunque infondata.
Quanto alla condanna alle spese del giudizio in favore della parte civile, la parte civile costituita NOME COGNOME risulta, secondo le premesse della sentenza impugnata, avere partecipato al giudizio di appello, sino all’udienza di discussione, svoltasi con il cosiddetto rito cartolare (laddove ha presentato le proprie conclusioni, salvo poi depositare successivamente remissione di querela con contestuale accettazione).
La Corte di appello osserva correttamente in sentenza che la remissione di querela non corrisponde a revoca – formale o per fatti concludenti – della costituzione di parte civile, perdurando la quale vanno confermate le statuizioni civili non oggetto di gravame. È stata poi disposta la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese del grado di giudizio in favore della predetta parte civile, permanendo le richieste processuali di quest’ultima. Il ricorrente non specifica neppure se la ricevuta per la somma di euro 2.200 omnia e la «dichiarazione di avvenuto risarcimento» siano state portate a conoscenza dei giudici di appello.
L’eventuale illecita duplicazione ipoteticamente conseguente a una successiva intimazione di pagamento da parte di COGNOME potrà essere ritualmente eccepita in sede civile.
La compensazione delle spese di giudizio, infine, è ammessa, in analogia a quanto richiesto nell’ambito del processo civile dall’art. 92 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 541, comma 2, cod. proc. pen., solo per gravi ed eccezionali ragioni, che non sono state ritenute sussistere, nello specifico (cfr. Sez. 6, n. 35931 del 24/06/2021, Daidone, Rv. 282110). Peraltro, il giudice non è obbligato a disporre la compensazione delle spese, rimessa al suo prudente apprezzamento, neppure nel caso di soccombenza reciproca, qui neppure ravvisabile (Sez. 5, n. 48206 del 10/09/2019, Paez Martin, Rv. 278040). La doglianza è dunque infondata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente