Particolare tenuità del fatto: la Cassazione nega l’applicazione in caso di dolo intenso
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di escludere la punibilità per reati considerati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta da parte del giudice. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini applicativi di questa norma, negandone il riconoscimento in un caso di reingresso illegale nel territorio dello Stato, a causa della gravità della condotta e dei precedenti dell’imputato.
I fatti del caso: reingresso illegale e precedenti penali
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un cittadino straniero che, dopo essere stato destinatario di un provvedimento di espulsione e di un ordine di allontanamento dal territorio nazionale, era rientrato illegalmente in Italia. La difesa dell’imputato aveva presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello, lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, la mancata concessione delle attenuanti generiche e una rideterminazione della pena.
Secondo la tesi difensiva, l’uomo sarebbe rientrato in Italia per cercare lavoro e sposare una cittadina italiana. Tuttavia, le risultanze processuali hanno delineato un quadro diverso. L’imputato non solo aveva violato un precedente ordine del Questore, ma una volta in Italia aveva continuato a dedicarsi ad attività illecite, venendo trovato in possesso di un computer portatile di provenienza illecita e denunciato per ricettazione. A questo si aggiungevano precedenti penali e di polizia e l’uso di alias.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando le censure difensive come manifestamente infondate e meramente ripetitive di argomentazioni già respinte in modo logico e corretto dalla Corte di Appello. I giudici di legittimità hanno confermato in toto la valutazione dei giudici di merito, escludendo la possibilità di applicare sia l’art. 131-bis c.p. sia le attenuanti generiche.
Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le motivazioni: perché è stata negata la particolare tenuità del fatto
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha escluso la particolare tenuità del fatto. I giudici hanno sottolineato che il bene giuridico tutelato dalla norma sull’immigrazione – l’interesse dello Stato a regolare i flussi migratori e a impedire reingressi illegali – era stato violato in modo non tenue. La condotta dell’imputato è stata ritenuta connotata da un’intensità del dolo particolare, per diverse ragioni:
1. Precedente inadempimento: L’uomo aveva già disatteso un ordine di allontanamento, dimostrando una deliberata volontà di contravvenire alle leggi dello Stato.
2. Continuazione dell’attività illecita: Il fatto che, una volta rientrato, sia stato denunciato per ricettazione ha dimostrato che il suo comportamento non era finalizzato a un reinserimento lecito, ma alla prosecuzione di condotte illegali.
3. Precedenti specifici: I precedenti penali e di polizia, uniti all’uso di diversi alias, hanno delineato un profilo di pericolosità sociale e di tendenza a delinquere, incompatibile con la concessione di benefici.
Anche il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto corretto, proprio in virtù di questi elementi negativi e dell’assenza totale di aspetti positivi da valorizzare. Infine, la pena inflitta è stata giudicata congrua, poiché, pur mantenendosi ben al di sotto della media edittale, teneva correttamente conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti applicativi della particolare tenuità del fatto. La non punibilità non può essere concessa quando la condotta, seppur relativa a un reato con pene non elevate, si inserisce in un contesto di illegalità più ampio e persistente. La valutazione non deve limitarsi al singolo episodio criminoso, ma deve considerare la personalità dell’agente, i suoi precedenti e il suo comportamento successivo al reato. La presenza di un dolo intenso e la reiterazione di condotte antigiuridiche sono elementi ostativi che impediscono di qualificare l’offesa come ‘tenue’, confermando un approccio rigoroso a tutela dell’ordine giuridico.
Quando può essere esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Può essere esclusa quando la condotta dell’agente, pur relativa a un reato minore, dimostra un’elevata intensità del dolo. Nel caso di specie, l’aver ignorato un precedente ordine di allontanamento e l’aver commesso un altro reato (ricettazione) dopo il reingresso illegale sono stati considerati indicatori di un dolo incompatibile con la tenuità del fatto.
Perché sono state negate le circostanze attenuanti generiche?
Le attenuanti generiche sono state negate a causa dei numerosi elementi negativi a carico dell’imputato, quali i precedenti penali e di polizia, la sua comprovata tendenza a utilizzare alias e l’assenza di qualsiasi elemento positivo che potesse giustificare una riduzione della pena.
La motivazione di cercare lavoro o formare una famiglia può giustificare un reingresso illegale?
Secondo questa ordinanza, tali motivazioni personali non sono sufficienti a giustificare la condotta o a renderla di lieve entità, soprattutto quando l’imputato, una volta rientrato nel territorio nazionale, prosegue con attività illecite, dimostrando che il suo comportamento complessivo è contrario alla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6677 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6677 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME – nel quale il difensore lamenta vizio di motivazione per la mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen., la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la mancata rideterminazione della pena – sono manifestamente infondate, oltre che non consentite in sede di legittimità, risolvendosi in doglianze in punto di fatto.
Osservato che dette doglianze sono reiterative di profili di censura già vagliati con argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici dalla Corte di appello di Milano nel provvedimento impugnato. In esso si evidenzia che: – il provvedimento di espulsione emesso nei confronti dell’imputato risulta motivato dai precedenti penali e di polizia a carico del medesimo e dall’inadempimento ad un pregresso ordine di allontanamento dal territorio nazionale del AVV_NOTAIO; – deve escludersi, alla luce delle risultanze processuali, che il bene protetto dalla norma in contestazione, ossia l’interesse dello Stato a regolare i flussi migratori e impedire l’illegale reingresso, nonché la successiva illecita permanenza sul suolo nazionale da parte di soggetti già oggetto di provvedimento di espulsione, sia stato violato in modo particolarmente tenue, non potendo rilevare a tal fine il ric:hiamo difensivo al fatto che NOME sarebbe rientrato in Italia per cercare lavoro e sposarsi con una cittadina italiana; – l’unico dato certo è che l’imputato, rientrato illegalmente in Italia, ha continuato a dedicarsi ad attivil:à illecite, essendo stato trovato in possesso di un PC portatile di illecita provenienza, per il quale è stato denunciato per ricettazione; – tale circostanza, in uno col fatto che NOME era stato inadempiente ad un ordine di allontanamento precedente, connotano di particolare intensità il dolo che ha sorretto la sua condotta; – deve pertanto confermarsi la valutazione del primo Giudice circa l’impossibilità di applicare nel caso concreto la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto; corretto è il diniego, da parte sempre del primo Giudice, delle circostanze attenuanti generiche in considerazione dei precedenti penali e di polizia dell’imputato e della sua comprovata tendenza alla spendita di alias, cui si aggiunge l’assenza di elementi di segno positivo; – anche la determinazione della pena operata dal Tribunale risulta del tutto condivisibile, in quanto il discostamento (peraltro modesto mantenendosi la pena ben al di sotto della media edittale) della pena base dal minimo edittale previsto dall’art. 13, comma 13, d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286, tiene conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo, a nulla rilevando il richiamo del difensore ad un’ammissione dell’addebito necessitata e ad una giovane età, peraltro Corte di Cassazione – copia non ufficiale
insussistente risultando avere il medesimo 37 anni al momento della commissione del fatto.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.