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Particolare tenuità del fatto: rigetto implicito

La Cassazione ha confermato la condanna per evasione, stabilendo che la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) può essere rigettata in modo implicito. Se il giudice di merito, nel motivare la pena, valuta negativamente la gravità della condotta, tale valutazione è sufficiente a escludere la particolare tenuità del fatto, anche senza una risposta esplicita sul punto.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: la motivazione sulla pena può bastare a escluderla

La richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta una delle più frequenti strategie difensive. Ma cosa succede se il giudice, pur a fronte di una richiesta esplicita, non si pronuncia direttamente su di essa? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21936/2024) chiarisce che la risposta negativa può essere anche implicita, desumibile dalla motivazione con cui viene determinata la pena.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per il reato di evasione (art. 385 c.p.), in quanto, trovandosi agli arresti domiciliari, non era stata trovata in casa durante un controllo delle forze dell’ordine.

Nel ricorso per Cassazione, la difesa lamentava un vizio di motivazione da parte della Corte d’appello. Nello specifico, si contestava la mancata risposta al motivo di appello con cui si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa sosteneva che il giudice avrebbe dovuto compiere una valutazione complessiva, tenendo conto dell’assenza di prove su eventuali giustificazioni per l’allontanamento o sulla commissione di altri reati.

La Questione Giuridica: Il rigetto implicito della particolare tenuità del fatto

Il cuore della questione legale è se un giudice possa legittimamente ignorare una richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. La risposta della Cassazione è netta: il silenzio non equivale a un’omissione, se dal contesto della motivazione si può desumere una valutazione incompatibile con la tenuità del fatto.

La Corte ha ribadito un principio già consolidato: la richiesta di non punibilità deve ritenersi implicitamente disattesa quando la struttura argomentativa della sentenza richiama elementi che, anche se relativi ad altri aspetti (come la quantificazione della pena), escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità del fatto. In altre parole, se il giudice considera il fatto “grave” per giustificare la sanzione, non può, logicamente, ritenerlo allo stesso tempo “tenue” ai fini della non punibilità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha osservato che i giudici d’appello avevano considerato un precedente specifico per evasione a carico dell’imputata, unito al reato attuale dal vincolo della continuazione. Sebbene la giurisprudenza (anche a Sezioni Unite) ammetta che la continuazione tra reati non escluda di per sé l’applicazione dell’art. 131-bis, essa impone al giudice una valutazione complessiva ancora più rigorosa.

Il punto decisivo, secondo gli Ermellini, è che la Corte d’appello, nel giustificare l’aumento di pena di quattro mesi per la continuazione, lo ha ritenuto “coerente” e lo ha espressamente motivato alla luce della «gravità della condotta», facendo riferimento ai criteri dell’art. 133 del codice penale.

Questa affermazione, sebbene finalizzata a motivare la pena, contiene in sé un giudizio di valore sul fatto che è logicamente incompatibile con il riconoscimento della sua particolare tenuità. La gravità della condotta è l’esatto opposto della tenuità dell’offesa. Pertanto, la Cassazione ha concluso che questa valutazione negativa, seppur non formulata come risposta diretta all’istanza difensiva, è sufficiente a considerare la richiesta implicitamente rigettata e a escludere il vizio di motivazione.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione pratica. Non basta formulare una richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto; è necessario che l’intero quadro probatorio e le circostanze del reato supportino tale qualificazione. La decisione della Corte di Cassazione sottolinea che la motivazione di una sentenza è un corpo unico e coerente. Un giudice che, nel determinare la sanzione, evidenzia la gravità del comportamento dell’imputato, sta di fatto già chiudendo la porta all’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Per la difesa, ciò significa che non solo si deve argomentare sulla tenuità, ma anche contestare attivamente ogni elemento da cui il giudice potrebbe desumere una valutazione di gravità.

Il giudice può rigettare la richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto senza dirlo esplicitamente?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la risposta negativa può essere implicita. Se dalla motivazione complessiva della sentenza emerge che il giudice ha ritenuto il fatto non lieve, ad esempio giustificando la pena sulla base della “gravità della condotta”, la richiesta si intende rigettata.

La presenza di un altro reato in continuazione impedisce di ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No, la pluralità di reati in continuazione non è di per sé ostativa. Tuttavia, obbliga il giudice a una valutazione complessiva di tutti gli illeciti (natura, gravità, modalità, dolo) per decidere se l’intera fattispecie concreta possa essere considerata di particolare tenuità.

In che modo la motivazione sulla pena può influenzare la decisione sulla particolare tenuità del fatto?
La motivazione sulla pena, basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale (come la gravità del reato), può contenere una valutazione che è incompatibile con la particolare tenuità. Se il giudice ritiene la condotta “grave” per giustificare una certa pena, implicitamente sta anche affermando che non è di “particolare tenuità”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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