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Particolare tenuità del fatto: reati estinti e abitualità

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna stabilendo un principio fondamentale sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha chiarito che i precedenti penali estinti, come quelli derivanti da un patteggiamento dopo il decorso di cinque anni senza nuovi reati, non possono essere utilizzati per configurare l’abitualità del comportamento, condizione che impedirebbe l’applicazione di tale beneficio. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione alla luce di questo principio.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: i reati estinti non contano per l’abitualità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13208/2025, ha affermato un principio cruciale in materia di particolare tenuità del fatto. La pronuncia chiarisce che i precedenti penali estinti, in particolare quelli a seguito di patteggiamento, non possono essere considerati per valutare l'”abitualità del comportamento” dell’imputato, una condizione che esclude l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale. Questa decisione rafforza l’istituto dell’estinzione del reato e le sue finalità riabilitative.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una condanna per il reato previsto dall’art. 642, comma secondo, del codice penale (frode assicurativa). La Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza di primo grado, rigettando la richiesta della difesa di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo i giudici di merito, l’imputato non poteva beneficiare di tale istituto a causa della sua “abitualità” nel commettere reati, desunta da due precedenti condanne riportate in passato.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due vizi della sentenza impugnata:
1. L’erronea applicazione dell’art. 131-bis c.p., poiché le precedenti condanne, derivanti da patteggiamenti, dovevano considerarsi estinte ai sensi dell’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale, e quindi non potevano essere utilizzate per fondare un giudizio di abitualità.
2. La totale omissione di motivazione riguardo alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La questione giuridica: particolare tenuità del fatto e condanne estinte

Il fulcro della questione ruota attorno all’interpretazione dell’art. 131-bis c.p. e alla sua relazione con i precedenti penali dell’imputato. La norma esclude la punibilità quando l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento non è abituale. L’abitualità, a sua volta, è presunta in presenza di più reati della stessa indole. La difesa sosteneva che le condanne precedenti, essendo state pronunciate a seguito di patteggiamento e risalendo a oltre un quinquennio prima, erano giuridicamente estinte. Di conseguenza, non potevano più essere considerate per valutare la condotta dell’imputato.

La Corte d’Appello, invece, le aveva ritenute rilevanti, negando il beneficio della non punibilità. La Cassazione è stata quindi chiamata a decidere se un reato dichiarato estinto ipso iure (cioè per legge, senza bisogno di un provvedimento formale del giudice) possa ancora produrre effetti negativi per l’imputato, specificamente ai fini della valutazione dell’abitualità.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato, e ha dichiarato inammissibile il secondo.

le motivazioni

La Corte ha chiarito che l’estinzione del reato e dei suoi effetti penali, prevista dall’art. 445, comma 2, c.p.p. per chi ha patteggiato una pena inferiore a due anni e non ha commesso altri delitti nei cinque anni successivi, opera di diritto (ipso iure). Questa estinzione comporta la “elisione di ogni effetto penale” delle condanne riportate. Di conseguenza, tali precedenti non possono essere utilizzati per fondare il giudizio sull’abitualità del comportamento, che è un presupposto ostativo all’applicazione della particolare tenuità del fatto.

In altre parole, un reato estinto è come se non fosse mai stato commesso ai fini della valutazione della recidiva e dell’abitualità. Pertanto, la Corte di Appello ha errato nel considerare tali precedenti per negare il beneficio dell’art. 131-bis c.p. La sentenza è stata quindi annullata su questo punto, con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Appello di Milano per un nuovo esame che non tenga conto delle sentenze estinte.

Riguardo al secondo motivo, relativo alle attenuanti generiche, la Cassazione lo ha giudicato inammissibile. Sebbene la Corte d’Appello non avesse dedicato una motivazione specifica ed esplicita, i giudici di legittimità hanno ritenuto che il rigetto fosse implicitamente contenuto nelle argomentazioni usate per negare le sanzioni sostitutive. In quella sede, la Corte territoriale aveva evidenziato la gravità del fatto, l’organizzazione fraudolenta e il coinvolgimento di più soggetti, elementi che, secondo la Cassazione, giustificavano implicitamente anche il diniego delle attenuanti.

le conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio di diritto: l’estinzione del reato ha un effetto riabilitativo pieno, impedendo che vecchie condanne, i cui effetti sono stati cancellati per legge, possano pregiudicare l’imputato in futuro. Per gli operatori del diritto, ciò significa che, nel valutare l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., è necessario verificare attentamente lo stato giuridico dei precedenti penali, escludendo dal computo quelli per cui è maturata l’estinzione. Questa decisione garantisce una corretta applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, in linea con la sua finalità deflattiva e con il principio di proporzionalità della sanzione penale.

Un reato estinto può essere usato per negare la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i reati i cui effetti penali sono estinti, come nel caso del patteggiamento dopo il decorso di cinque anni senza nuovi delitti, non possono essere considerati per valutare l’abitualità del comportamento, che è una condizione ostativa all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

Quando si estingue un reato dopo un patteggiamento?
Secondo l’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale, se la pena applicata su richiesta delle parti (patteggiamento) non supera i due anni di reclusione (sola o congiunta a pena pecuniaria), il reato si estingue se l’imputato non commette un delitto della stessa indole nel termine di cinque anni dalla sentenza.

Il giudice può omettere di motivare il diniego delle attenuanti generiche?
No, il giudice deve sempre motivare le sue decisioni. Tuttavia, la Cassazione ammette che la motivazione possa essere implicita, cioè desumibile da altre parti della sentenza. Nel caso specifico, le ragioni addotte per negare le sanzioni sostitutive, basate sulla gravità del fatto, sono state ritenute sufficienti a giustificare implicitamente anche il rigetto della richiesta di attenuanti generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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