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Particolare tenuità del fatto: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per l’emissione di un assegno illecito. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica quando l’importo, in questo caso 1.100 euro, non è trascurabile. Inoltre, è stato negato il beneficio della non menzione della condanna, poiché l’interesse pubblico a conoscere il reato prevaleva sulle esigenze di risocializzazione dell’imputato.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: quando l’importo del danno conta

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del sistema penale, evitando la punizione per fatti di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio dei limiti di questo istituto, soprattutto in relazione all’entità del danno economico.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo da parte del Tribunale e, successivamente, della Corte d’Appello, per il reato previsto dalla L. 386/1990, ovvero l’emissione di un assegno in violazione di legge. L’importo contestato era di 1.100,00 euro. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che il fatto fosse di lieve entità.
2. Il diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (art. 175 c.p.).

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato le argomentazioni della difesa, confermando la decisione dei giudici di merito. Analizziamo nel dettaglio le motivazioni che hanno portato a questa conclusione, distinguendo tra i due motivi di ricorso.

Le motivazioni: i limiti della particolare tenuità del fatto

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ribadito che, sebbene la condotta dell’imputato successiva al reato possa essere valutata nel giudizio complessivo sull’offensività (anche alla luce delle recenti riforme legislative), essa non può da sola trasformare un’offesa non lieve in una di particolare tenuità.

Il punto cruciale della decisione risiede nell’entità del danno. I giudici hanno ritenuto che un importo di 1.100,00 euro non fosse “trascurabile”. Questa valutazione ha precluso in radice la possibilità di considerare il fatto di scarsa offensività. In altre parole, secondo la Cassazione, esiste una soglia economica al di sotto della quale un danno può essere considerato tenue, ma 1.100,00 euro la superano. La sentenza impugnata, negando l’applicazione dell’istituto, non ha mostrato alcun profilo di illegittimità, avendo correttamente bilanciato tutti gli elementi a disposizione.

Le motivazioni: la discrezionalità sulla non menzione della condanna

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha ricordato che il beneficio della non menzione della condanna si fonda sul principio dell'”emenda” e mira a favorire il recupero morale e sociale del condannato. La sua concessione, tuttavia, non è un diritto automatico né una conseguenza necessaria di altri benefici (come la sospensione condizionale della pena), ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Il giudice deve indicare le ragioni della sua scelta basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato il diniego, spiegando come le esigenze di risocializzazione dell’imputato dovessero cedere il passo all’interesse della collettività. Il reato commesso, infatti, è di quelli che minano la lealtà e la sicurezza dei rapporti economici. Di conseguenza, l’interesse generale a conoscere tale precedente penale è stato considerato prevalente rispetto all’interesse individuale dell’imputato a un “casellario pulito”.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti principi pratici. In primo luogo, conferma che la valutazione sulla particolare tenuità del fatto non può prescindere da un’analisi concreta dell’entità del danno: importi non irrisori, come 1.100 euro, possono essere sufficienti a escludere il beneficio. In secondo luogo, ribadisce la natura ampiamente discrezionale della concessione della non menzione della condanna, specialmente per reati che ledono la fiducia pubblica e la sicurezza delle transazioni economiche, dove l’interesse della collettività può legittimamente prevalere.

La condotta successiva al reato può rendere un fatto di “particolare tenuità”?
No, la condotta successiva al reato, pur essendo un elemento di valutazione, non può da sola rendere di particolare tenuità un’offesa che non lo era al momento della commissione. Può essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa.

Un assegno di 1.100,00 Euro può integrare un danno di particolare tenuità?
Secondo la Corte di Cassazione in questo caso, un importo di 1.100,00 Euro non è trascurabile e, pertanto, osta a una valutazione di scarsa offensività del fatto, precludendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità.

La concessione della non menzione della condanna è automatica?
No, la non menzione della condanna è un beneficio rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Quest’ultimo deve bilanciare le esigenze di recupero sociale del condannato con l’interesse della collettività a conoscere i precedenti penali, soprattutto per reati che minano la fiducia nei rapporti economici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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