Particolare Tenuità del Fatto: Quando Mentire a un Pubblico Ufficiale Esclude la Non Punibilità
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del Codice Penale, rappresenta un importante strumento di deflazione del sistema penale, permettendo di escludere la punibilità per reati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione rigorosa del giudice. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali sui limiti di questo beneficio, in particolare nel contesto del reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale.
I Fatti del Caso: una Dichiarazione Falsa per Evitare una Sanzione
Il caso riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 495 del Codice Penale. L’imputata, al fine di sottrarsi a una sanzione, aveva inizialmente dichiarato false generalità a un funzionario accertatore, negando di avere con sé un documento di identità. Solo in un secondo momento, a seguito dell’intervento della polizia giudiziaria contattata dal funzionario, la persona esibiva il proprio documento, rivelando la sua vera identità.
La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, basandolo su un unico motivo: la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, anche alla luce della versione più favorevole della norma introdotta dalla recente riforma legislativa (D.Lgs. 150/2022).
La Decisione della Cassazione sulla particolare tenuità del fatto
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici hanno ritenuto che le argomentazioni della difesa non fossero idonee a mettere in discussione la decisione dei giudici di merito, i quali avevano già escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p.
Le Argomentazioni della Difesa
La difesa sosteneva che la condotta dovesse essere considerata di lieve entità, facendo leva su elementi fattuali quali l’attività lavorativa svolta dall’imputata e la presunta spontanea comunicazione delle proprie generalità. Secondo questa tesi, il comportamento complessivo non presentava un grado di offensività tale da meritare una sanzione penale, giustificando quindi l’applicazione del beneficio della non punibilità.
La Valutazione dei Giudici di Merito
I giudici dei gradi precedenti, così come la Cassazione, hanno invece dato un peso determinante alla dinamica degli eventi. Hanno sottolineato come l’imputata avesse rivelato la sua vera identità non per un ravvedimento spontaneo, ma solo perché messa alle strette dall’intervento della polizia. Il tentativo iniziale di ingannare il pubblico ufficiale per eludere una sanzione è stato considerato un elemento che impedisce di qualificare il fatto come di particolare tenuità.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile
La Suprema Corte ha fondato la sua decisione di inammissibilità su una considerazione dirimente: il ricorso si basava su una prospettazione puramente assertiva di elementi di fatto, tentando di ottenere un nuovo e diverso apprezzamento della condotta che è precluso in sede di legittimità. La Cassazione non può riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
I giudici hanno ribadito che, sebbene la nuova formulazione dell’art. 131-bis c.p. sia una norma sostanziale più favorevole e quindi applicabile retroattivamente, i presupposti per la sua operatività non sussistevano nel caso di specie. La condotta dell’imputata, caratterizzata dal mendacio iniziale volto a un fine illecito (sottrarsi alla sanzione), non poteva essere considerata di minima offensività. Il fatto che la verità sia emersa solo dopo l’intervento delle forze dell’ordine ha confermato la gravità del comportamento, escludendo la possibilità di applicare la causa di non punibilità.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un principio importante: la valutazione della particolare tenuità del fatto non può prescindere dal contesto e dalle finalità della condotta. Mentire a un pubblico ufficiale non è mai un atto banale, e la gravità aumenta quando lo scopo è quello di ottenere un vantaggio indebito, come eludere una sanzione. La decisione ribadisce che il ravvedimento, per avere un peso, deve essere genuino e spontaneo, non una mera conseguenza dell’inevitabilità dell’accertamento. Infine, viene confermato che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato come un ‘terzo grado di giudizio’ per ridiscutere i fatti, ma deve limitarsi a censure di legittimità sulla decisione impugnata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro.
È possibile applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto se si forniscono false generalità a un pubblico ufficiale?
Secondo questa ordinanza, no. La Corte di Cassazione ha stabilito che mentire a un funzionario per sottrarsi a una sanzione, e rettificare solo dopo l’intervento della polizia, non è una condotta di lieve entità e quindi non beneficia della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Un ricorso in Cassazione può basarsi su una diversa valutazione dei fatti già esaminati nei gradi precedenti?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché si limitava a proporre una valutazione dei fatti (come la presunta spontanea comunicazione delle generalità) alternativa a quella già compiuta dai giudici di merito, senza evidenziare vizi di legittimità.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2950 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2950 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, che ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 495 cod. pen.;
osservato che:
con l’unico motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell’art. 131-bis cod. pr pen., chiedendone l’applicazione nella specie – quale norma più favorevole – nel testo novellato dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150;
la difesa ha presentato una memoria a sostegno dell’ammissibilità del ricorso, contenente un motivo aggiunto, con il quale ha ribadito l’applicabilità nella specie della norma più favorevol entrata in vigore successivamente allo spirare del termine per proporre il ricorso;
ritenuto che, quantunque il testo oggi vigente dell’art. 131-bis cod. pen. sia norma sostanziale di favore da applicarsi anche ai fatti commessi anteriormente ai sensi dell’art. comma 4, cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266593-01), il ricorso è inammissibile per la dirimente considerazione che le allegazioni difensive – a suffragio dell sussistenza dei presupposti della causa di non punibilità – si sostanziano nella prospettazione assertiva di elementi di fatto (relativi in particolare all’attività lavorativa svolta dall’i alla spontanea comunicazione da parte sua delle proprie generalità ed esibizione della carta di identità alle Forze dell’ordine) di un alternativo apprezzamento della condotta tenuta dall NOME nell’occorso (avendo, invece, i Giudici di merito rimarcato come ella abbia esibito i proprio documento, che aveva negato di avere con sé declinano false generalità al funzionario accertatore per sottrarsi alla sanzione, solo dopo l’intervento della polizia giudiziaria contat da quest’ultimo; cfr. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 1 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 ottobre 2023 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente