Particolare tenuità del fatto: quando le minacce e le lesioni la escludono
L’istituto della particolare tenuità del fatto, previsto dall’articolo 131-bis del Codice Penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di non punire reati di minima entità. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta della condotta complessiva dell’agente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i limiti di questa causa di non punibilità, specialmente in contesti di resistenza a pubblico ufficiale.
I fatti del caso: la condanna e il ricorso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e lesioni personali (art. 582-585 c.p.).
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa sosteneva che la condotta dell’imputato dovesse essere inquadrata in un contesto di lieve entità, tale da giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
La decisione della Cassazione sulla particolare tenuità del fatto
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. Secondo gli Ermellini, la decisione della Corte d’Appello era correttamente motivata in modo logico, coerente e puntuale.
Il fulcro della decisione risiede nella valutazione della condotta dell’imputato. La Corte territoriale aveva infatti evidenziato che le azioni non potevano essere ridotte a una semplice reattività momentanea. Al contrario, l’imputato aveva non solo cagionato lesioni ai pubblici ufficiali, ma aveva anche rivolto loro plurime minacce. Questo comportamento, nel suo complesso, è stato giudicato incompatibile con i requisiti della particolare tenuità.
Le motivazioni della Corte
La motivazione della Corte si basa su un principio fondamentale: per applicare l’art. 131-bis c.p., il giudice deve valutare non solo il danno o il pericolo cagionato (l’esiguità dell’offesa), ma anche le modalità della condotta. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato che la Corte d’Appello ha correttamente escluso la tenuità del fatto proprio in ragione delle modalità concrete dell’azione.
La presenza di lesioni e, soprattutto, di minacce multiple rivolte ai pubblici ufficiali, delinea un quadro di deliberata opposizione e aggressività che supera la soglia della ‘mera reattività’. La condotta, quindi, non può essere considerata ‘particolarmente tenue’ e, di conseguenza, non merita il beneficio della non punibilità.
Le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un orientamento consolidato: la valutazione sulla particolare tenuità del fatto non è un mero calcolo matematico del danno, ma un giudizio complessivo sulla gravità del reato. Condotte che, pur non causando danni gravissimi, manifestano un’intensità del dolo o una particolare aggressività, come le minacce reiterate a un pubblico ufficiale, sono ostative al riconoscimento del beneficio. La decisione impone quindi una riflessione attenta sulla linea di demarcazione tra una reazione estemporanea e una condotta offensiva che, per le sue modalità, merita una sanzione penale, anche se l’esito finale non è di estrema gravità. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quando non si può applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non si può applicare quando le modalità della condotta, come cagionare lesioni e rivolgere plurime minacce a pubblici ufficiali, non sono riconducibili a una mera reattività e superano la soglia della minima offensività richiesta dalla norma (art. 131-bis c.p.).
Perché la condotta dell’imputato è stata considerata non compatibile con la tenuità del fatto?
La condotta è stata considerata incompatibile perché non si è limitata a una semplice reazione, ma si è concretizzata nel cagionare lesioni e nel proferire minacce multiple verso i pubblici ufficiali, elementi che la Corte ha ritenuto sintomatici di una gravità non trascurabile.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la conferma della decisione impugnata e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47453 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47453 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 29/06/1998
avverso la sentenza del 30/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso in relazione alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 e 582-585 cod. pen. è inammissibile perché avente ad oggetto una censura manifestamente infondata;
considerato, invero, che in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la Corte di appello ha motivato in maniera logica, coerente e puntuale nella parte in cui ha richiamato la modalità della condotta, non riconducibile alla mera reattività, che ebbe a cagionare lesioni e rivolgere plurime minacce ai pubblici ufficiali (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.