Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18907 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18907 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il 04/07/1984
NOME nato a MESSINA il 26/02/1997
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME; ritenuto che il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi ed inerente alla prescrizione è manifestamente infondato in quanto, oltre a 186 giorni di sospensione riconosciuti in sentenza e non contestati, non tiene conto dell’ulteriore periodo di sospensione del termine (nel caso in esame pari a mesi sei e giorni dieci) previsto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 (cosiddetta Legge Orlando), applicabile al caso in esame essendo stato il reato commesso il 25 settembre 2017, secondo quanto è stato stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19/2024 del 12 dicembre 2024; detto periodo di sospensione è quello intercorrente tra la data di scadenza del deposito della sentenza di primo grado – 13.11.2022 – e la data della sentenza impugnata; che il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOMECOGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 707 cod. pen., non è consentito perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito alle pagg. 3-4 della sentenza impugnata, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso, anche tenuto conto della presenza di precedenti penali per furto e lesioni personali, attestati dal certificato in atti;
considerato che il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOMECOGNOME che lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., è manifestamente infondato a fronte di una congrua e non illogica motivazione che correttamente ritiene assente la particolare tenuità del fatto (si veda pag. 4 della sentenza impugnata);
considerato che per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazion complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/201 COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non
potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018,
Venezia, Rv. 275940). Poiché tale valutazione va compiuta sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudic
correttamente esercitati nel caso di specie e, pertanto, non sindacabili;
ritenuto che con il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Cortese
NOME ci si duole genericamente del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche senza alcun confronto con le ragioni esplicitate dalla Corte di
appello a fg. 4 della sentenza impugnata;
rilevato, pertanto – con assorbimento di ogni altra considerazione difensiva,
anche in relazione al contenuto delle memorie depositate – che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 aprile 2025.