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Particolare tenuità del fatto: quando è inapplicabile?

Un soggetto, condannato per il reato di rifiuto di fornire le proprie generalità, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo adeguata la motivazione del giudice di merito che aveva escluso il beneficio sulla base della durata dell’episodio e della futilità delle giustificazioni fornite, confermando che basta l’assenza di un solo requisito per negare l’istituto.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: la Cassazione sui limiti di applicazione

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale e di proporzionalità della sanzione penale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un prezioso chiarimento sui criteri che possono portare alla sua esclusione, anche in presenza di reati considerati minori. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i confini di questo beneficio.

I fatti del caso

Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Novara, che aveva condannato un individuo per il reato di cui all’art. 651 del codice penale, ovvero il rifiuto di fornire le proprie generalità a un pubblico ufficiale. La condanna consisteva in una pena di duecento euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione. Le sue lamentele si concentravano su due punti principali: in primo luogo, denunciava l’omesso riconoscimento dell’istituto della particolare tenuità del fatto; in via subordinata, lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le doglianze sollevate dall’imputato fossero in realtà finalizzate a ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, un’operazione non consentita in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione, non di riesaminare le prove e i fatti.

La Corte ha quindi confermato la decisione del Tribunale, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ulteriore somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto in caso di ricorso inammissibile.

Le motivazioni

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha respinto le censure relative alla particolare tenuità del fatto. La Cassazione ha sottolineato che, per escludere l’applicabilità di tale beneficio, è sufficiente una motivazione che dia conto dell’assenza anche di uno solo dei presupposti richiesti dalla norma.

Nel caso specifico, il Tribunale di Novara aveva fondato la sua decisione su due elementi considerati decisivi:

1. La durata dell’episodio: Il comportamento ostativo dell’imputato si era protratto nel tempo, un elemento che depone contro la tenuità della condotta.
2. La futilità dei motivi: Le giustificazioni addotte dall’imputato per il suo rifiuto erano state giudicate futili, rivelando un atteggiamento di scarso rispetto per l’autorità.

Questi due aspetti, secondo i giudici di merito prima e di legittimità poi, erano sufficienti a escludere che il fatto potesse essere qualificato come di “particolare tenuità”. La motivazione della sentenza impugnata è stata quindi ritenuta esaustiva, logica e priva di vizi, e come tale non sindacabile in Cassazione. Analogamente, anche la mancata concessione delle attenuanti generiche è stata giustificata dall’assenza di qualsiasi elemento positivo valutabile a favore dell’imputato.

Le conclusioni

Questa decisione ribadisce un principio fondamentale nell’applicazione dell’art. 131-bis c.p.: la particolare tenuità del fatto non è un diritto automatico legato solo alla lieve entità della pena prevista per il reato. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva che tenga conto delle modalità della condotta e del grado della colpevolezza. La durata di un comportamento illecito e la futilità delle ragioni che lo hanno mosso sono indicatori validi e sufficienti per negare il beneficio. La sentenza serve da monito: anche per reati contravvenzionali, l’atteggiamento dell’imputato e le circostanze concrete del fatto possono precludere l’accesso a cause di non punibilità, confermando la piena discrezionalità motivata del giudice di merito su questo punto.

È sufficiente la mancanza di un solo presupposto per escludere l’applicazione della “particolare tenuità del fatto”?
Sì, la Corte di Cassazione ha ribadito che, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è sufficiente e adeguata la motivazione del giudice che dia conto dell’assenza anche di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis del codice penale.

Quali elementi ha considerato il giudice per negare la “particolare tenuità del fatto” in questo caso?
Il giudice ha negato il beneficio considerando due elementi decisivi: la durata dell’episodio di rifiuto di fornire le generalità e la futilità dei motivi addotti dall’imputato a sua discolpa.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo quanto stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri l’assenza di colpa nella proposizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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