Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15702 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15702 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FOGGIA il 03/10/1983
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 giugno 2024 la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza pronunciata il 26 ottobre 2022 – all’esito di giudizio abbreviato – dal Tribunale di Foggia. NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 per aver detenuto a fini di spaccio grammi 2,14 di hashish e grammi 12,4 di marijuana, sostanza suddivisa in diciassette dosi poste all’interno di una busta di cellophane. Operata la diminuzione conseguente alla scelta del rito, l’imputato è stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ed C 1.200,00 di multa.
NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello per mezzo del difensore di fiducia cui ha conferito specifico mandato ad impugnare. Il ricorso consta di un unico motivo col quale il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione dolendosi che la Corte di appello abbia dichiarato inammissibile la richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. senza valutarla nel merito e limitandosi ad osservare che nessuna richiesta in tal senso era stata formulata nell’atto di gravame. Il difensore osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. può essere rilevata anche d’ufficio e cita a sostegno Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Ugboh, Rv. 280707.
Con memoria scritta tempestivamente depositata il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Ha sostenuto che la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. è stata respinta con motivazione implicita. Ha sottolineato a tal fine che, nella sentenza impugnata, sono valorizzati plurimi elementi ostativi alla concessione del beneficio richiesto: «a) il dato ponderale di hashish e marijuana rinvenuti; b) la sottoposizione del Marrano, alla data del fatto, ad obbligo di dimora e ad obbligo di presentazione alla P.G.; c) la mancanza di segni di resipiscenza; d) il precedente del 2017 per detenzione e cessione illecita continuata di stupefacenti».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che saranno di seguito precisate.
2. Sulla base di un orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, «la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. può essere rilevata di ufficio dal giudice dell’appello potendo rientrare, per assimilazione alle altre cause di proscioglimento, nella previsione di cui all’art. 129 cod. proc. pen. per le quali vi è l’obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, anche laddove tale giudice sia stato investito da un atto di impugnazione ammissibile, avente ad oggetto motivi diversi» (Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Ugboh, Rv. 280707). La sentenza in esame è giunta a tali conclusioni facendo applicazione di principi autorevolmente affermati dalle Sezioni Unite nella motivazione delle sentenze n. 13681 del 25/02/2016 (Tushaj) e n. 13682 del 25/02/2016 (Coccinniglio) non massimate sul punto. In queste sentenze, infatti, il massimo Consesso di legittimità ha affermato che l’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale e il giudice è tenuto a valutarne anche d’ufficio la sussistenza «al fine di dichiarare la relativa causa di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.»
Muovendo da queste premesse, la sentenza n. 2175 del 25/11/2020, ha sottolineato (pagg. 2 e 3 della motivazione) che «le Sezioni Unite hanno esaminato la tematica con riferimento alla specifica questione della rilevabilità d’ufficio della causa di non punibilità in parola anche nel corso del giudizio di legittimità» e, tuttavia, la «regula iuris» che è stata affermata sembra avere carattere generale. Ha ricordato, inoltre, che questa Corte di legittimità è pervenuta «ad uguale approdo interpretativo L.] in altre successive pronunce, nelle quali è stato puntualizzato come la regola della immediata rilevabilità anche d’ufficio» della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. è possibile «in sede di legittimità a condizione che í presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, poiché altrimenti non sarebbe possibile pronunciare un annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 274476; Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270271)». Ha osservato, infine, che la validità di questa regola è stata ribadita quando si è affermato «che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è rilevabile d’ufficio nel giudizio di legittimità, pur si sia in presenza di un ricorso ammissibile, persino se l’esistenza di quella causa non era stata dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore dell’art. 131 bis cod. pen. (Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, dep. 2017, Curia, Rv. 269164)».
Applicando questi principi al caso oggetto del presente ricorso si deve ritenere che la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare nel merito la richiesta
di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. anche se formulata soltanto nella discussione finale. Come è stato affermato, infatti, «se sul giudice di merito grava, anche in difetto di una specifica richiesta l’obbligo d’ufficio di pronunciare la considerata causa di esclusione della punibilità, un obbligo di esaminare la relativa questione deve ritenersi sussistente, a maggior ragione, allorquando sia stata avanzata una specifica richiesta da parte del difensore, sia pure per la prima volta con le conclusioni del giudizio di appello» (Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280707, pag. 4 della motivazione. Nello stesso senso Sez. 6, n. 13219 del 20/02/2019, Pastore, non massimata; Sez. 2 n. 24508 del 27/04/2023, Anndy, non massimata).
3. Tanto premesso, si deve tuttavia rilevare:
che la doglianza relativa al mancato esercizio, da parte del giudice dell’appello, di un potere di verifica che doveva essere esercitato d’ufficio, comporta che sia questa Corte a dover esercitare direttamente quello stesso potere, verificando l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. e la conseguente applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen.
che la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. formulata dal difensore nel giudizio di appello non risulta essere stata motivata e l’atto di ricorso è del tutto generico sul punto perché si limita a fare riferimento alla «quantità e qualità dello stupefacente rinvenuto» e allo «stato di incensuratezza dell’imputato all’epoca dei fatti» senza spiegare perché il fatto, complessivamente considerato, dovrebbe essere valutato di particolare tenuità;
che un ricorso articolato attraverso doglianze generiche e astratte non può essere valutato ammissibile per difetto di specificità intrinseca (Sez. L1, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione) e ciò preclude la possibilità di rilevare d’ufficio qualsivoglia causa di non punibilità.
Com’è stato chiarito, infatti, l’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e presuppone la proposizione di una valida impugnazione (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818).
Nel caso oggetto del presente ricorso, alle assorbenti considerazioni svolte si deve aggiungere che la sentenza impugnata ha escluso la possibilità di applicare le attenuanti generiche e, nel farlo ha sottolineato: che, al momento del fatto, COGNOME era sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora nel territorio
del Comune di Margherita di Savoia, con prescrizione di rimanere in casa nelle ore notturne e obbligo di presentazione alla PG, perché gravemente indiziato di
un’altra violazione della legge in materia di stupefacenti; che l’imputato aveva disponibilità di sostanze diverse (hashish e marijuana); che dal certificato del
casellario risulta una condanna per violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 per fatti commesso il 27 luglio 2017. Dalle argomentazioni così sviluppate si desume
che la Corte territoriale non ha ritenuto il fatto di particolare tenuità. P
giurisprudenza costante, infatti, la decisione di non applicare l’art. 131
bis cod.
pen. può trovare motivazione implicita nelle argomentazioni con le quali il giudice d’appello, «per valutare la congruità del trattamento sanzionatorio
irrogato dal giudice di primo grado, abbia considerato gli indici di gravità
oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art.
133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420; nello stesso senso Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096;
Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282097).
5. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 2 aprile 2025
Il Consigliere estensore
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