Particolare tenuità del fatto: quando i precedenti penali ne impediscono l’applicazione
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del sistema giudiziario, escludendo la punibilità per reati che, pur essendo formalmente illeciti, risultano di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva che include anche la condotta passata dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come i precedenti penali e la ripetitività della condotta possano precludere questo beneficio.
I fatti del caso: un ricorso contro la condanna per spaccio
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato sia in primo grado che in appello per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.p.r. 309/90. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione nella sentenza impugnata. In particolare, contestava sia l’affermazione della sua responsabilità penale, sia il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sostenendo che il singolo episodio di cessione contestato rientrasse in questa fattispecie.
La decisione della Corte: il ricorso è manifestamente infondato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati manifestamente infondati, generici e privi di un reale confronto critico con le argomentazioni della Corte d’Appello. Secondo i giudici di legittimità, il ragionamento della corte territoriale era coerente, logico e basato sulle risultanze processuali.
L’esclusione della particolare tenuità del fatto per abitualità
Il punto cruciale della decisione riguarda proprio il diniego del beneficio previsto dall’art. 131-bis c.p. La Corte ha confermato la validità del ragionamento dei giudici di merito, i quali avevano escluso l’applicabilità della norma a causa del comportamento dell’imputato. Nello specifico, la decisione si fonda su due elementi chiave:
1. La ripetitività della condotta delittuosa.
2. Gli ulteriori precedenti penali del reo, risalenti fino al 2009.
Questi fattori, valutati complessivamente ai sensi dell’art. 133 c.p. (gravità del reato: valutazione agli effetti della pena), sono stati ritenuti sufficienti a desumere una ‘proclività e ripetitività del delinquere’. Tale tendenza a commettere reati è incompatibile con la ratio della norma sulla particolare tenuità del fatto, che mira a beneficiare condotte occasionali e non indicative di una persistenza nel crimine.
Le motivazioni
La motivazione della Cassazione è chiara: i motivi del ricorso erano deboli e non scalfivano la solidità della decisione impugnata. La pena era stata correttamente applicata sulla base dei minimi edittali, e la non punibilità era stata esclusa con un ragionamento logico e non contraddittorio. L’abitualità nel comportamento criminale, desunta dai precedenti, è un ostacolo insormontabile per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. L’inammissibilità del ricorso, considerato il suo palese carattere dilatorio, ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un beneficio accessibile a chiunque commetta un reato di modesta entità. La valutazione del giudice deve estendersi oltre il singolo episodio per considerare la personalità e la storia criminale dell’imputato. La presenza di precedenti penali, specialmente se specifici e recenti, può essere interpretata come un indice di ‘abitualità’ che impedisce di qualificare il fatto come un episodio isolato e di scarsa gravità, precludendo così l’accesso a questo importante istituto di clemenza.
Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo questa ordinanza, non si applica quando la condotta delittuosa è ritenuta ripetitiva e l’autore del reato ha precedenti penali che indicano una sua proclività a delinquere, rendendo il comportamento non occasionale.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi addotti erano manifestamente infondati, generici e privi di una critica specifica e puntuale alle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata dalla Corte d’Appello.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, in questo caso fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33563 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33563 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto NOME COGNOME NOME A1,1 eme.0 , COGNOME/Colpevole del reato di cui all’art.73 comma 5 dpr 309/90 e lo aveva condannato alla pena di giustizia.
Il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità nei propri confronti e con riferimento al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art.131 bis cod.pen. a fronte di un singolo atto di cessione.
Ebbene, ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati in quanto in fatto, generici, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione (Cass., sez. U, n.8825 del 27/10/2016, COGNOME) e privi di analisi censoria degli argomenti posti a fondamento del giudizio di responsabilità del ricorrente.
Il ragionamento sviluppato dal giudice distrettuale risulta coerente con le risultanze processuali e non si risulta altresì manifestamente illogico e si sottrae pertanto al sindacato di questo giudice di legittimità. La pena risulta poi applicata sulla base di criteri minimi edittali. E la ipotesi di non punibilità di cui all’art.131 cod.pen. è stata esclusa con ragionamento non contraddittorio né illogico, in ragione della ripetitività della condotta delittuosa e degli ulteriori precedenti del reo risalen din dal 2009 così da desumere, ai sensi dell’art.133 cod.pen. una proclività e ripetitività del delinquere tale da precludere il riconoscimento del beneficio.
Evidenziato che all’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo al palese carattere dilatorio del ricorso e alla palese inammissibilità del ricorso, appare conforme a giustizia stabilire nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2024