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Particolare tenuità del fatto: quando è esclusa?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato possesso di documenti falsi. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata a causa dell’abitualità del comportamento dell’imputato, desunta da precedenti condanne per reati simili. È stata inoltre confermata la discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: l’abitualità del comportamento esclude il beneficio

Con l’ordinanza n. 10565/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui confini applicativi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. La decisione in esame chiarisce come la presenza di precedenti condanne per reati della stessa indole configuri un'”abitualità del comportamento” che osta alla concessione del beneficio, confermando al contempo l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella graduazione della pena.

I fatti di causa: dal reato al ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo da parte della Corte di Appello di Roma per il reato di tentato possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, ai sensi degli artt. 56 e 497-bis del codice penale. La Corte territoriale aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riqualificando il fatto come tentativo e rideterminando la pena.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione attraverso il suo difensore, articolando due principali motivi di doglianza:

1. Il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
2. Un’errata graduazione della pena, ritenuta eccessiva nonostante la concessione delle attenuanti generiche e la qualificazione del reato come tentativo.

L’esclusione della particolare tenuità del fatto per abitualità

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato dalla Suprema Corte come manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la valutazione sulla tenuità del fatto richiede un’analisi complessa e congiunta di tutte le peculiarità del caso concreto. Questa valutazione, ai sensi dell’art. 133 c.p., deve considerare le modalità della condotta, il grado di colpevolezza e l’entità del danno o del pericolo.

Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva correttamente negato l’applicazione dell’istituto valorizzando un elemento decisivo: l’abitualità del comportamento dell’imputato. Tale abitualità era stata desunta da precedenti condanne subite per reati della stessa indole (nello specifico, truffa e sostituzione di persona). La legge, infatti, esclude esplicitamente l’applicazione del beneficio in presenza di un comportamento abituale, rendendo irrilevanti le altre considerazioni sulla gravità del singolo episodio.

La discrezionalità del giudice sulla quantificazione della pena

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla quantificazione della pena, è stato respinto come inammissibile e manifestamente infondato. La Cassazione ha ricordato che la determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere può essere sindacato in sede di legittimità solo qualora la decisione sia frutto di un palese arbitrio o di un ragionamento illogico, e non per una semplice riconsiderazione della sua congruità.

La Corte ha osservato che i giudici di merito avevano fornito una motivazione sufficiente, evidenziando come la pena base, su cui erano state poi applicate le riduzioni per il tentativo e per le attenuanti, fosse già stata fissata in un importo “particolarmente mite”, soprattutto in considerazione dei precedenti penali dell’imputato. Pertanto, la decisione non appariva né illogica né arbitraria.

Le motivazioni e le conclusioni della Suprema Corte

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. La decisione riafferma due principi cardine del diritto penale e processuale. In primo luogo, la non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un beneficio accessibile a chi dimostra una tendenza a delinquere, come comprovato da precedenti condanne per reati omogenei. L’abitualità del comportamento agisce come una barriera invalicabile per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. In secondo luogo, viene ribadito il limite del sindacato della Cassazione sulla quantificazione della pena, che resta una prerogativa del giudice di merito, a patto che sia sorretta da una motivazione logica e non arbitraria. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo la sentenza, non si applica quando il comportamento dell’imputato è considerato “abituale”, una condizione che può essere desunta dalla presenza di precedenti condanne per reati della stessa indole.

La Corte di Cassazione può ricalcolare la pena decisa da un altro giudice?
No, la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito sulla congruità della pena. Può intervenire solo se la determinazione della pena è frutto di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico, e non per una semplice riconsiderazione nel merito.

Cosa ha considerato la Corte per giudicare adeguata la pena inflitta?
La Corte ha rilevato che la sentenza impugnata aveva motivato la sua decisione, specificando che la pena base di partenza era già stata determinata in un importo “particolarmente mite”, nonostante i precedenti penali dell’imputato. Questo ha reso la decisione sulla pena finale logica e sufficientemente motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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