Particolare Tenuità del Fatto: Quando l’Intensità del Dolo la Esclude?
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i limiti di questo istituto, chiarendo come l’intensità dell’intento criminale (dolo) possa essere decisiva per escluderne l’operatività.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto nei gradi di merito per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. Tale norma sanziona chi rende dichiarazioni false o omette informazioni rilevanti nell’istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (comunemente noto come gratuito patrocinio). L’imputato, ritenuto responsabile, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: l’erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione riguardo alla mancata concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La Valutazione sulla Particolare Tenuità del Fatto
La difesa sosteneva che il fatto commesso fosse di lieve entità, tale da rientrare nel campo di applicazione dell’art. 131-bis c.p. Questo articolo permette di non procedere alla punizione quando l’offesa, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, risulta particolarmente tenue e il comportamento non è abituale. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva già rigettato questa tesi, e la Suprema Corte ne ha confermato la correttezza.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione della sentenza impugnata immune da censure. Secondo gli Ermellini, la Corte di merito ha fatto buon governo dell’istituto, escludendo correttamente la particolare tenuità del fatto. La decisione si è fondata su due pilastri fondamentali:
1. Il disvalore oggettivo della condotta: L’atto di mentire allo Stato per ottenere un beneficio non dovuto (il gratuito patrocinio) possiede una gravità intrinseca che va oltre il mero dato economico. Si tratta di una condotta che lede il corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia e il principio di solidarietà su cui si basa l’istituto.
2. L’intensità del dolo: Questo è stato l’elemento decisivo. La Corte ha evidenziato che l’intento dell’imputato non era frutto di una leggerezza o di una svista, ma di una precisa e consapevole volontà di ingannare. L’alta intensità del dolo, riscontrata dai giudici di merito, è stata considerata incompatibile con la qualificazione del fatto come “particolarmente tenue”.
Inoltre, i giudici di legittimità hanno bollato i motivi del ricorso come una “pedissequa reiterazione” di argomenti già esaminati e motivatamente respinti in appello, un vizio che conduce inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un automatismo applicabile a tutti i reati di modesta entità. La valutazione del giudice deve essere completa e deve considerare tutti gli indici previsti dalla norma, inclusi quelli relativi all’elemento soggettivo del reato. L’intensità del dolo emerge come un fattore cruciale che può, da solo, precludere l’accesso al beneficio, anche a fronte di un danno patrimoniale contenuto. Per gli operatori del diritto e i cittadini, ciò significa che la deliberata volontà di commettere un illecito, per quanto piccolo possa apparire, pesa in modo significativo sulla bilancia della giustizia e può impedire l’applicazione di istituti premiali. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende.
In che caso può essere esclusa l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo questa ordinanza, l’applicazione può essere esclusa quando la condotta presenta un rilevante disvalore oggettivo e, soprattutto, una notevole intensità del dolo, ovvero una piena e deliberata volontà di commettere il reato.
Ripetere in Cassazione gli stessi motivi già presentati in appello è una strategia valida?
No, il provvedimento chiarisce che la ‘pedissequa reiterazione’ di motivi già esaminati e motivatamente respinti dalla corte di merito costituisce una causa di inammissibilità del ricorso.
Qual è la conseguenza di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La conseguenza diretta per il ricorrente è la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9533 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9533 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/10/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da COGNOME NOME, ritenuto responsabile nelle conformi sentenze di merito del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 115/2002.
Rilevato che, con motivo unico, la difesa lamenta erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizio logico di motivazione sul punto.
Considerato che la motivazione offerta in sentenza è immune da censure: facendo buon governo dell’istituto, la Corte di merito ha correttamente escluso, alla luce del rilevato disvalore oggettivo della condotta accertata e dell’intensità del dolo riscontrato, che il fatto, apprezzato con argomentare immune da incongruenze logiche e coerente con le risultanze istruttorie, non fosse di particolare tenuità.
Considerato che i rilievi difensivi sono fondati su argomentazioni che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di. euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21 febbraio 2024
Il Consigliere estensore