Particolare tenuità del fatto: quando il pregiudizio patrimoniale la esclude?
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione discrezionale del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui criteri che possono portare a escludere questa causa di non punibilità, sottolineando come la rilevanza del danno economico sia un fattore determinante.
I fatti del processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. La difesa lamentava un vizio di motivazione, sostenendo che i giudici di merito avessero erroneamente negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, nonostante fosse stata esplicitamente richiesta. Secondo il ricorrente, la decisione non era stata adeguatamente giustificata.
La decisione della Corte sulla particolare tenuità del fatto
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che il motivo presentato dalla difesa non costituisse una valida censura di legittimità, ma si risolvesse in una mera manifestazione di dissenso rispetto alla decisione, congruamente motivata, dei giudici di merito. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha convalidato l’operato della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno osservato che la decisione impugnata aveva dato conto, in modo esauriente e logico, della “oggettiva rilevanza del pregiudizio patrimoniale” derivante dalla condotta delittuosa. Questo elemento, da solo, è stato ritenuto sufficiente a escludere la particolare tenuità del fatto.
La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale: per valutare la tenuità dell’offesa, il giudice deve fare riferimento ai criteri indicati dall’articolo 133, primo comma, del codice penale (gravità del danno, intensità del dolo, etc.). Tuttavia, non è necessaria una disamina analitica e completa di tutti gli elementi previsti dalla norma. È sufficiente che il giudice indichi quali, tra questi, ha ritenuto più rilevanti per fondare la propria decisione. Nel caso di specie, il significativo danno economico è stato considerato un indice decisivo dell’assenza di tenuità.
Conclusioni
L’ordinanza in esame offre importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che un pregiudizio patrimoniale di non scarsa entità è un ostacolo quasi insormontabile al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. In secondo luogo, ribadisce che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato come un terzo grado di giudizio per ridiscutere il merito delle valutazioni fatte dai giudici delle istanze precedenti, specialmente quando queste sono sorrette da una motivazione logica e coerente con i principi di diritto. Infine, la decisione consolida l’orientamento secondo cui la valutazione del giudice sulla tenuità del fatto è ampiamente discrezionale, purché ancorata a elementi concreti desumibili dagli atti processuali.
Quando può essere esclusa l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Può essere esclusa quando il giudice ritiene che l’offesa non sia tenue, basando la sua valutazione su criteri come quelli indicati nell’art. 133 c.p. Nel caso specifico, l’oggettiva rilevanza del pregiudizio patrimoniale è stata considerata un elemento sufficiente per l’esclusione.
Il giudice deve analizzare tutti i criteri dell’art. 133 c.p. per escludere la particolare tenuità del fatto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti per giustificare la decisione.
Un semplice dissenso rispetto alla decisione del giudice è un motivo valido per ricorrere in Cassazione?
No. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio perché lo ha qualificato come una “mera manifestazione di dissenso” rispetto alla decisione dei giudici di merito, e non come la denuncia di un effettivo vizio di motivazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45729 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45729 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 08/04/1965
avverso la sentenza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di Campoluongo NOME, ritenuto che l’unico motivo del ricorso, con cui la difesa deduce vizio di motivazione sul disconoscimento della pur sollecitata causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., appare formulato in termini non consentiti finendo per risolversi in una mera manifestazione di dissenso rispetto alla decisione assunta dai giudici di merito che, dal canto loro, hanno congruamente ed esaustivamente dato conto della oggettiva rilevanza del pregiudizio patrimoniale del profitto conseguito dalla condotta delittuosa in esame (cfr., pagg. 3-4 della sentenza); ed è appena il caso di ribadire che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen. il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri d cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr., tra le altre, Sez. 6 – , n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME Rv. 274647 – 01);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024.