Particolare tenuità del fatto: la Cassazione chiarisce i limiti
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per garantire la proporzionalità della sanzione penale, evitando di punire condotte che, pur costituendo reato, risultano di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e incontra precisi limiti, come ribadito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso in esame offre un’analisi chiara su quando i precedenti penali specifici possano configurare un “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento di questo beneficio.
I Fatti di Causa
Un soggetto veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di cessione di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, a una pena di 6 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa. La difesa decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Il motivo del ricorso si concentrava sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avevano erroneamente considerato ostativi due precedenti specifici, sebbene risalenti nel tempo, negando così un beneficio che, a suo avviso, sarebbe stato applicabile.
La particolare tenuità del fatto e il comportamento abituale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici supremi hanno sottolineato come la sentenza impugnata avesse correttamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La motivazione dei giudici di merito era solida: i due precedenti specifici per reati legati agli stupefacenti non consentivano di considerare la cessione di 217 mg di cocaina pura come un fatto di particolare tenuità.
La Corte ha richiamato consolidati principi giurisprudenziali, inclusa una pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui il comportamento dell’autore è da considerarsi “abituale” quando, oltre al reato per cui si procede, ha commesso almeno altri due illeciti. Questa abitualità costituisce un presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità. La norma stessa, al terzo comma dell’art. 131-bis, chiarisce che il beneficio non si applica se l’imputato ha commesso più reati della stessa indole.
L’importanza della valutazione complessiva
Un altro punto cruciale evidenziato dalla Corte è che la legge impone una valutazione del “fatto” nella sua dimensione “plurima”. Ciò significa che, in presenza di più violazioni della stessa indole, perde di rilevanza l’eventuale tenuità dei singoli episodi. L’analisi deve essere complessiva, considerando la condotta del reo nel suo insieme per valutare la sua propensione a commettere reati. In questo contesto, i due precedenti specifici non potevano essere ignorati, in quanto indicativi di una non occasionalità del comportamento illecito.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su una rigorosa interpretazione dell’art. 131-bis c.p. e della giurisprudenza di legittimità. La decisione di negare la particolare tenuità del fatto non è stata arbitraria, ma basata su elementi oggettivi: la presenza di due precedenti condanne per reati della stessa indole. Questi elementi, secondo la Corte, sono sufficienti a configurare quel “comportamento abituale” che la legge indica come causa ostativa. La Corte ha ribadito che la finalità dell’istituto non è quella di offrire una generale impunità per i reati minori, ma di escludere la sanzione solo per fatti genuinamente sporadici e minimi, commessi da soggetti che non mostrano una tendenza a delinquere. La valutazione del giudice, pertanto, non può limitarsi al singolo episodio, ma deve estendersi alla condotta complessiva dell’imputato.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un beneficio accessibile a chiunque commetta un reato di lieve entità. La valutazione del giudice deve tener conto della personalità dell’autore, desunta anche dai suoi precedenti penali. La presenza di più condanne per reati della stessa indole è un indicatore forte di un “comportamento abituale” che preclude l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Questa pronuncia serve da monito: la valutazione sulla tenuità del fatto non è atomistica, ma olistica, e considera l’intera storia criminale del soggetto per stabilire se la sua condotta sia stata meramente occasionale o, al contrario, l’espressione di una più radicata inclinazione a violare la legge penale.
Quando è esclusa l’applicazione della particolare tenuità del fatto?
L’applicazione è esclusa, tra le altre ipotesi, quando il comportamento dell’autore del reato è considerato abituale. Secondo la sentenza, questo si verifica quando l’imputato ha commesso, oltre al reato in esame, almeno altri due illeciti, specialmente se della stessa indole.
Due precedenti penali specifici sono sufficienti per negare la particolare tenuità del fatto?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la presenza di due precedenti specifici (in questo caso, per reati legati agli stupefacenti) è un elemento che impedisce di ritenere la condotta di particolare tenuità, in quanto configura un comportamento abituale e una tendenza a commettere reati della stessa indole.
Come viene valutato il “fatto” ai fini dell’art. 131-bis in presenza di più reati?
La valutazione non si concentra sulla tenuità dei singoli episodi, ma considera il “fatto” nella sua dimensione “plurima”. La normativa richiede una valutazione complessiva della condotta, in cui la ripetizione di reati della stessa indole assume un peso decisivo, indicando una non occasionalità del comportamento illecito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15400 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15400 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANREMO il 15/02/1987
avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avv4 alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione del Tribunale di Imperia dell’Il novembre 2019, che aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, condannandolo alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 1200,00 di multa.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME formulando un unico motivo, con il quale deduce vizio di motivazione in ragione del diniego del riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod.pen., attesa l’assenza di ragioni ostative, erroneamente ravvisate nella presenza di due lontani precedenti per reati legati agli stupefacenti.
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto non si confronta adeguatamente con la motivazione adottata e poggia su affermazioni manifestamente infondate. In particolare, la sentenza ha negato la sussistenza dei presupposti per l’affermazione della speciale tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen., rilevando che i due precedenti specifici non consentivano di ritenere la cessione dello stupefacente (mg. 217 di cocaina pura) di particolare tenuità. La motivazione è coerente con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo i quali, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266592, Tushaj; Sez. 1, n. 9858 del 24/01/2024, Rv. 286154).
Peraltro, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del già menzionato articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016) Rv. 267262).
All’inammissibilità del ricorso a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso, il 2 aprile 2025.