Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24080 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24080 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BITONTO il 07/07/1977 COGNOME NOME nato a BITONTO il 21/10/1976 COGNOME NOME nato a BARI il 23/10/1970
avverso la sentenza del 28/06/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bari riformava parzialmente la sentenza con cui il tribunale di Bari in composizione monocratica, in data 5.5.2021, aveva condannato, ciascuno alla pena ritenuta di giustizia, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati dei reati di lesioni personali volontarie e di rissa in rubrica loro ascritti, dichiarando non doversi procedere nei confronti di questi ultimi per il reato di lesioni personali volontarie, perché estinto per intervenuta remissione di querela, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio per il residuo reato di rissa nella misura di euro 600,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, con un unico atto di impugnazione fondato su motivi comuni, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato esame del motivo nuovo di appello depositato in cancelleria nei termini previsti dall’art. 585, co. 4, c.p.p., volto a ottenere il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis, c.p.
2.1. Con requisitoria scritta del 20.12.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con memoria del 4.3.2025 il difensore degli imputati, avv. NOME COGNOME nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste per raccoglimento del ricorso, eccependo anche, una volta acclarata l’ammissibilità del ricorso, la sussistenza della causa di improcedibilità di cui all’art. 344 bis, co. 2, c.p.p.
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni.
I rilievi difensivi appaiono manifestamente infondati.
I ricorrenti lamentano la mancata considerazione da parte della corte territoriale, in violazione dell’art. 131 bis e cod. pen., di un subitaneo atteggiamento di resipiscenza, di ricomposizione del conflitto familiare e di ripristino dell’ordine pubblico, posto in essere dagli imputati dopo la
rissa, rappresentato dalla difesa nei motivi nuovi, del cui deposito il giudice di appello non ha nemmeno dato atto.
La corte territoriale, tuttavia, non si è sottratta al tema, dedotto con l’atto di appello, dell’invocata applicazione in favore dei prevenuti della causa di non punibilità, di cui all’art. 131 bis, cod. pen., escludendo che nel caso in esame possa configurarsi la particolare tenuità del fattoreato per cui si procede, sulla base di una ponderata valutazione della particolare gravità della condotta posta in essere dai partecipanti alla rissa, “che, per questioni di liti familiari, e pur essendo legati da stretti rapporti di parentela, ponevano in essere una reciproca aggressione caratterizzata da particolare violenza, tanto da riportare le sopra menzionate lesioni, anche in presenza dei nipoti più giovani” (cfr. p. 9).
Si tratta, in tutta evidenza, di una motivazione né manifestamente illogica, né contraddittoria, ma, piuttosto, assolutamente conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, alla luce del quale, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis, c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590).
In questa prospettiva si è ulteriormente chiarito che il giudizio sulla tenuità dell’offesa, pur dovendo essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, c.p., tuttavia non richiede necessariamente la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647; Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Rv. 283044), individuati dalla corte territoriale nelle modalità dell’azione, trasmodata in comportamenti lesivi dell’altrui integrità fisica, non impedita nemmeno dagli stretti rapporti di parentela tra i partecipanti alla rissa, con la logica conseguenza che la partecipazione
dei ricorrenti alla rissa non può certo dirsi caratterizzata da una minima dimensione offensiva.
La valutazione operata dalla corte territoriale, inoltre, non appare affatto lacunosa, non potendosi sostenere che sia stata il frutto di un giudizio parziale, che non abbia tenuto conto, cioè, della condotta degli imputati successiva alla rissa, posto che il giudice di appello ha preso in esame l’intera fattispecie concreta già delibata dal primo giudice, il quale, come rilevato dagli stessi ricorrenti, aveva espressamente preso in considerazione la condotta degli imputati successiva alla rissa, per motivare il rigetto dell’azione cautelare esercitata dal pubblico ministero e per riconoscere in favore di questi ultimi le circostanze attenuanti generiche.
Sicché, in definitiva, i motivi di ricorso appaiono tali da sollecitare una diversa valutazione sul merito della valutazione espressa dalla corte territoriale, in quanto tale non scrutinabili in questa sede di legittimità.
Va solo aggiunto che, in disparte la fondatezza o meno dell’eccezione difensiva articolata nelle conclusioni, l’inammissibilità dei proposti ricorsi, precludendo la costituzione di un valido rapporto processuale, impedisce la declaratoria di improcedibilità del giudizio per superamento del termine di durata massima di un anno di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen. inserito dall’art. 2, comma 2, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134 (cfr. Sez. 7 n. 43883 del 19/11/2021, Rv. 283043; Sez. 2, n. 40349 del 27/06/2024, Rv. 287085).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 1 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 20.3.2025.