Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13659 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13659 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI 03YEUJE) nato in MAROCCO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/03/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 marzo 2023, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze del 5 ottobre 2021, appellata, per quanto qui rileva, da NOME COGNOME, rideterminava la pena al medesimo inflitta, con la diminuente del rito abbreviato richiesto, in mesi 6 di reclusione ed euro 1000 di multa, confermando nel resto la sentenza appellata che lo aveva ritenuto colpevole, unitamente ad altro imputato qui non ricorrente, del reato di detenzione illecita in concorso di sostanza stupefacente del tipo hashish, ai sensi dell’art. 73, comma 5, TU Stup., in relazione a fatti contestati come commessi in data 15/04/2021.
Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 73, comma 5, TU Stup.
In sintesi, si censura la sentenza per aver ritenuto provata la responsabilità sulla base di indizi incerti, ritenendo riconducibili i frammenti di stupefacente rin venuti nei giardini di INDIRIZZO sulla base delle dichiarazioni della denunciante COGNOME e sul riconoscimento da questa svolto. La teste non avrebbe descritto le sembianze dei soggetti che il giorno del fatto erano dediti allo spaccio nei giardini né le riproduzioni fotografiche estratte dal cellulare della donna, non chiare, avrebbero consentito di rilevare le caratteristiche somatiche dei soggetti idonee a descriverli. Quanto al riconoscimento, sarebbe avvenuto quando i due imputati erano già stati fermati a bordo dell’auto di servizio, ciò che avrebbe potuto avere un effetto suggestivo. L’imputato è stato trovato in possesso di un piccolo frammento di hashish, pari a 0,5 grammi, per il quale soltanto può essergli attribuita la detenzione, mentre il resto dello stupefacente, rinvenuto nei giardini, non può essere ritenuto come detenuto dal ricorrente, non essendo stato accertato che corrispondesse a quanto gli operanti avevano osservato come gettato dalle sue mani. Infine, le somme rinvenute in disponibilità dell’imputato sono state restituite, a comprova della loro non riconducibilità ad un’attività illecita.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 131-bis, cod. pen.
In sintesi, si censura la sentenza per aver negato il riconoscimento della predetta causa di non punibilità per l’abitualità della condotta di spaccio, ciò che sarebbe emerso dalle dichiarazioni della COGNOME. Diversamente, si sostiene in ricorso, sotto il profilo oggettivo l’offesa era di particolare tenuità, mentre sotto profilo soggettivo il comportamento era senz’altro non abituale ed episodico. Già nell’atto di appello era stato contestato l’errore in cui era incorso il primo giudic che aveva richiamato a giustificazione del diniego i precedenti penali dell’imputato, in realtà inesistenti, osservandosi come detto riconoscimento dell’art. 131-bis, cod. pen. era giustificabile per l’assenza di qualsiasi precedente, anche di polizia, sicché illegittima sarebbe la motivazione della Corte d’appello che, pur non valorizzando quanto sostenuto dal primo giudice, ha ritenuto di negare la causa di non punibilità ancorandola alle dichiarazioni della COGNOME. Quanto da questa riferito, peraltro, oltre a suscitare dubbi sull’attendibilità, non potrebbe essere posto a base del diniego, essendosi riferita nelle dichiarazioni, richiamando precedenti episodi di spaccio, non all’imputato ma ad altri cittadini stranieri. La teste avrebbe riconosciuto l’imputato solo con riferimento allo spaccio del 15 aprile 2021, addebitando invece le precedenti condotte a soggetti diversi, donde si denuncia il travisamento probatorio di tali dichiarazioni che avrebbero determinato la Corte d’appello a ritenere abituale la condotta, escludendo così il riconoscimento dell’art. 131-bis, cod. pen.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 133, cod. pen. quanto alla mancata individuazione del minimo aumento per la continuazione.
In sintesi, difformemente dalla rubrica del motivo (in cui si contesta la mancata individuazione del minimo aumento per la continuazione) la sentenza sarebbe censurabile nella parte in cui, pur rideterminando in senso favorevole al reo la pena base, avrebbe omesso di individuare la stessa in aderenza al minimo edittale previsto per legge, donde non sarebbe stato giustificato il discostamento dal minimo edittale.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 62, n. 4, cod. pen. ed all’art. 62-bis, co pen., quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante della tenuità del fatto e delle attenuanti generiche, nonché in relazione al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
In sintesi, si duole il ricorrente anzitutto del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., fondato sui quantitativi di stu facente e sulla quantità di principio attivo rinvenuto, tale da consentire di ricavare un numero elevato di dosi pari a 469, difettando la speciale tenuità riferita al lucro perseguito così come all’evento pericoloso. Si sostiene in ricorso che, diversamente, proprio sulla base dell’esegesi di questa Corte, ricorrevano le condizioni per il riconoscimento della richiamata attenuante, avendo infatti la sentenza di primo grado affermato che il quantitativo di sostanza era certamente di minima entità, sicché i giudici di appello, discostandosi da quanto affermato dal primo giudice, sarebbero incorsi in un errore motivazionale. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, i giudici di appello le avrebbero negate non rinvenendo elementi positivi e valorizzando l’abitualità e la modalità della condotta. Si tratterebbe di motivazione censurabile perché fondata erroneamente sulla ritenuta abitualità desunta da precedenti penali in realtà inesistenti, senza peraltro valorizzare le condizioni del soggetto, straniero regolare e con occupazione stabile, e non considerando la modestia della violazione, unitamente alla sua condizione disagiata e la condotta sostanzialmente collaborativa tenuta con gli operanti. Infine, si duole la difesa per il mancato riconoscimento dei benefici di legge, fondato ancora una volta sui precedenti penali e di polizia inesistenti, pur se indicati nel verbale di arresto.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 10.01.2024, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
In sintesi, sostiene il PG che il ricorso sarebbe inammissibile, riproponendo sostanzialmente in tutti i motivi e le doglianze di appello, che tuttavia si risolvon in una critica nel merito della valutazione – immune da vizi logici e come tale insindacabile in sede di legittimità – compiuta dai giudici territoriali, tanto in ord agli elementi fondamentali dimostrativi della finalità di cessione dello stupefacente detenuto, quanto in ordine al complessivo trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art.23, d.l. n. 137 del 202 e successive modifiche ed integrazioni, in assenza di istanza di discussione orale, è complessivamente infondato.
Il primo motivo è inammissibile sia perché generico per aspecificità sia perché manifestamente infondato.
2.1. È anzitutto aspecifico, in quanto non ci confronta minimamente con la motivazione della sentenza di appello che ha fornito ampia ed adeguata giustificazione alle ragioni per le quali l’imputato fosse responsabile del reato addebitatogli in concorso con altro soggetto qui non ricorrente.
La difesa, infatti, reitera, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, le medesime doglianze svolte davanti ai giudici di appello sia con i motivi originari che con quelli aggiunti, limitandosi a riproporre sterilmente le medesime argomentazioni già confutate dai giudici territoriali.
È quindi palese, nella specie, l’inammissibilità dell’impugnazione per genericità dei motivi, rientrando in quest’ultima non solo la aspecificità dei motivi stessi ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (tra le tante: Sez. 1, ord. n. 4521 del 20/01/2005, Rv. 230751 – 01).
2.2. E’, del resto, evidente l’assoluta irrilevanza delle censure svolte, adeguatamente vagliate dalla Corte territoriale, come emerge dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata.
Evidenziano, sul punto, i giudici di merito come i motivi riguardanti la asserita mancanza di prova in ordine alla finalità di cessione a terzi dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità dei due imputati fossero privi di fondamento. Al riguardo, osserva la Corte territoriale, a prescindere dal dato che i due imputati si trovavano in possesso di vari frammenti di sostanza stupefacente in un luogo in cui abitualmente si svolge attività di cessione di dette sostanze, vi sono le dichiarazioni della teste COGNOME NOME, la quale ha dichiarato che dalla sua finestra aveva modo di notare quotidianamente una intensa attività di spaccio nei giardini di INDIRIZZO, effettuata da persone straniere, tant’è che quel giorno chiamava il NUMERO_TELEFONO per segnalare quanto notato. Inoltre, la stessa osservava che la pattuglia dei CC. intervenuta sul luogo fermava due delle persone che aveva visto vendere la sostanza e che inoltre occultavano e si disfacevano della stessa appena prima dell’arrivo dei CC. La stessa riconosceva “con certezza assoluta” le due persone che venivano controllate e fermate dai CC. come quelle che prima stavano effettuando le operazioni di spaccio . A ciò si aggiunge, precisa ulteriormente il giudice territoriale, l’ulter dato che i due imputati erano in possesso di un apprezzabile quantitativo di hashish , da cui è possibile ricavare un elevato numero di dosi ; non solo, ma
l’NOME veniva trovato in possesso anche di tre banconote da 20,00 euro ciascuna, che, diversamente da altre, custodite nel portafoglio, il predetto portava addosso, tutte accartocciate; elemento che suffraga – secondo una deduzione dei giudici territoriali sulla cui logicità non può invero dubitarsi -, come evidenziato d primo giudice, con argomentazione pienamente condivisibile, l’ipotesi che detto denaro fosse provento della cessione a terzi di stupefacente.
2.3. La Corte territoriale si prende carico poi di esaminare l’identica doglianza difensiva sviluppata in ricorso, ossia il tema della inattendibilità della de nunciante COGNOME.
Sul punto la Corte territoriale sottolinea come il m.11o Tronca, che era sceso dall’auto di servizio prima di raggiungere i due imputati, onde sottrarsi alla loro vista, e osservarne il comportamento, aveva modo di vedere l’NOME disfarsi dell’involucro in suo possesso, allorquando ancora non aveva raggiunto i due imputati, sicché, si legge in sentenza, è del tutto congruente il dato che la teste, dalla finestra, abbia visto i sunnominati disfarsi degli involucri in loro possesso prima che i medesimi venissero fermati dai CC. Difatti, nel verbale di arresto, in termini perfettamente coincidenti, si dà atto che i due imputati si disfacevano degli involucri immediatamente prima del momento in cui venivano bloccati dai CC, allorquando i predetti si accorgevano dell’arrivo dell’auto di servizio dei militari.
Non vi è dubbio alcuno, poi, per i giudici di appello, sulla appartenenza degli involucri di stupefacente ai due imputati, non solo perché sono stati visti dai Carabinieri nel mentre se ne disfacevano – uno lanciandolo lontano, ossia l’attuale ricorrente, l’altro tentando di occultarlo ricoprendolo di ghiaia – ma anche perché venivano osservati dalla teste COGNOME, che dalla finestra, stava monitorando i movimenti dei sunnominati, in attesa che sopraggiungessero le forze dell’ordine che lei stessa aveva chiamato.
I giudici di appello, poi, smentiscono quanto asserito dalla difesa dell’imputato in ricorso, sottolineando come fosse acquisito agli atti il fascicolo contenente le foto estrapolate dal video registrato sul cellulare della COGNOME, le cui immagini, con evidente chiarezza, diversamente da quanto opinato dagli appellanti precisa la Corte d’appello, individuano i due soggetti – poi identificati negli imputati, cos riconosciuti con assoluta certezza dalla predetta teste – nel mentre si trovavano nei giardini, intenti a compiere movimenti sospetti.
Allo stesso modo logica è la confutazione dell’ulteriore doglianza replicata in sede di legittimità circa il mancato rinvenimento di attrezzature atte alla pesatura delle sostanze stupefacenti o strumenti idonei al taglio, atteso che, precisa la Corte territoriale, i due imputati erano già impegnati nella attività di spaccio in un
pubblico giardino, sicché è del tutto implausibile che i due avessero con sé bilancini o quant’altro necessario al confezionamento delle dosi.
Ricorrono, conclusivamente, tutti gli elementi per ritenere l’attuale ricorrente, secondo l’approdo valutativo dei giudici di merito, responsabile non solo della detenzione illecita della modesta dose di stupefacente rinvenuta addosso alla sua persona, ma anche di quella rinvenuta nei giardini di INDIRIZZO, essendo pacifico in giurisprudenza che la “detenzione” non implica necessariamente un contatto fisico immediato con la droga, ma va intesa come disponibilità di fatto di essa, anche in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un potere manuale da parte del soggetto attivo (Sez. 4, n. 47472 del 13/11/2008, Rv. 242389 – 01).
Ed è coerente da un punto di vista logico quanto argomentato dai giudici territoriali che, sulla scorta degli elementi acquisiti, segnatamente delle dichiarazioni della COGNOME e di quanto caduto sotto la diretta percezione degli operanti, hanno attribuito al ricorrente anche la detenzione dello stupefacente che egli era stato visto “lanciare” alla vista dei militari intervenuti.
3. Il secondo motivo è invece infondato.
I giudici territoriali argomentano in punto di riconoscimento della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, poiché dagli atti si evince l’abitual della condotta di spaccio da parte dei due imputati, come emerge dalle dichiarazioni testimoniali della COGNOME, ciò precludendo in radice la possibilità di riconoscere l’ipotesi di cui all’art. 131-bis c.p.
Nessun riferimento è operato, anzitutto, ai precedenti penali, sicché le doglianze difensive sul punto appaiono del tutto distoniche rispetto all’argomentare della Corte territoriale.
Quanto, poi, al presunto travisamento probatorio, quand’anche lo si ritenesse rilevante per il fraintendimento operato dalla Corte territoriale circa il rifer mento operato invero dalla COGNOME agli “altri cittadini stranieri” che in precedenti occasioni ella avrebbe visto dedicarsi a tale illecita attività, si sarebbe comunque in presenza di un travisamento privo dei connotati della decisività (richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte come requisito necessario per assumere rilievo rispetto all’impianto argomentativo della sentenza: da ultimo, Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 – 01), atteso che si è comunque in presenza di un fatto non qualificabile come di particolare tenuità sotto il profilo dell’offens vità, tenuto conto del quantitativo di stupefacente (da cui erano ricavabili ben 469 dosi di stupefacente), non rilevando la circostanza che lo stesso sia stato (invero assai benevolmente) riqualificato come fatto lieve ai sensi dell’art. 73, comma 5, Tu Stup.
È stato infatti più volte affermato da questa Corte che in tema di stupefacenti, la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 otto 1990, n. 309 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenut a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono invece essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo, nonché il carattere non abituale della condotta (da ultimo: Sez. 3, n. 18155 del 16/04/2021, Rv. 281572 – 01 che, in applicazione del principio, la Corte ha escluso la contraddittorietà della sentenza impugnata che, a fronte del rinvenimento nella disponibilità dell’imputato di gr. 23,00 di marijuana, pari a 47 dosi complessive, aveva giudicato il fatto di lieve entità, negando la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.).
Principio, quest’ultimo, che vieppiù trova applicazione nel caso di specie dove la condotta di detenzione illecita riguardava un quantitativo di sostanza ben più consistente rispetto a quello oggetto di valutazione nel suddetto precedente, versandosi in un’ipotesi ben più grave nella quale sono ben 469 le dosi ricavabili dallo stupefacente, elemento questo del tutto idoneo a giustificare una attività illecita priva dei caratteri dell’occasionalità, come desumibile dal numero dei potenziali cessionari in ragione delle dosi ricavabili.
4. Il terzo motivo invece non si sottrae al giudizio di inammissibilità.
I giudici di appello, infatti, hanno rimodulato la pena base per il reato contestato in mesi 9 di reclusione ed euro 1500 di multa. All’epoca del commesso reato il legislatore puniva l’ipotesi del comma 5 dell’art. 73, TU Stup. con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 (pene oggi aumentate, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 4, comma 3, D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 novembre 2023, n. 159, con quelle della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 o con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità).
Il mero discostamento, dunque, di soli tre mesi di reclusione e di poco meno di 500 euro di multa rispetto al minimo edittale, non inficia il giudizio discrezional operato dalla Corte d’appello ex art. 133, cod. pen., atteso che solo l’irrogazione
di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Rv. 276932 – 01), laddove nei casi, come quello in esame, in cui la pena base risulta fissata ben al di sotto del medio edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice (tra le tante: Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288 – 01).
5. Il quarto motivo, infine, deve essere rigettato perché infondato.
I giudici territoriali hanno escluso il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., osservando come, avuto riguardo ai quantitativi di stupefacente in possesso degli imputati, ed alla quantità di principio attivo in essi rinvenuto, da cui è possibile ricavare un numero elevato di dosi , difettava la speciale tenuità riferita al lucro perseguito, così come all’evento pericoloso.
5.1. Le doglianze difensive rivestono valenza puramente contestativa, non rilevando in particolare la qualificazione operata dal primo giudice secondo cui il quantitativo di sostanza era certamente di minima entità, atteso che, se è ben vero che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, previ dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499 – 02), è anche vero che nessun automatismo nel riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., consegue alla qualificazione del fatto nell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’artt. 73 TU Stup Come infatti chiarito dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte nella richiamata decisione: (§ 16) “il riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta tuttavia affidato ad una puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, che dia consistenza sia all’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, che alla gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata. Dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico, esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare “proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito”.
Proprio tale precisazione consente quindi di ritenere del tutto giustificato l’approdo valutativo dei giudici di appello che, come visto, proprio facendo leva sul consistente numero di dosi ricavabili dallo stupefacente detenuto, ha ritenuto difettasse “la speciale tenuità riferita al lucro perseguito, così come all’evento pericoloso”. Affermazione, questa, del tutto logica e compatibile non tanto con il quantitativo (che, come detto, ha condotto la benevola qualificazione del fatto come di lieve entità, nonostante il consistente numero di dosi ricavabili), quanto con il valore dello stupefacente detenuto e con il lucro (non certo minimo) perseguibile con la potenziale cessione della sostanza medesima, non certo qualificabile in termini di “tenuità” nell’argomentare del Supremo Collegio, e con il giudizio di gravità dell’evento in senso giuridico per come inteso dalle Sezioni Unite e correttamente interpretato dalla Corte d’appello.
5.2. Quanto, poi, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il giudizio della Corte d’appello non può essere sindacato.
Ed infatti, i giudici territoriali ritengono l’imputato non meritevole di t attenuanti evidenziando, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, che “la meritevolezza di siffatte circostanze non può mai darsi per scontata o presunta, e che peraltro nel caso che occupa non ricorrono i presupposti per dette attenuanti, stante la mancanza di elementi positivi valutabili a favore degli imputati e la presenza di fattori altamente negativi, desumibili dalla abitualità della condotta posta in essere e dalle modalità di realizzazione, atteso che i due spacciavano, in pieno giorno, in un giardino pubblico”.
La motivazione resa sul punto dai giudici territoriali non merita censura, né rileva la mancata valorizzazione delle condizioni del reo, straniero regolare e con occupazione stabile, né della asserita modestia della violazione, unitamente alla sua condizione disagiata e la condotta sostanzialmente collaborativa tenuta con gli operanti, elementi richiamati dalla difesa, posto che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (tra l tante: Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419 – 01). E, nella specie, i giudici
di appello (al netto della contestata abitualità) hanno valorizzato non solo e non tanto il dato ponderale dello stupefacente, ma anche la spregiudicatezza mostrata dagli imputati, tra cui l’attuale ricorrente, atteso che i due spacciavano, in pieno giorno, in un giardino pubblico, dunque valorizzando il criterio direttivo di cui all’art. 133, comma primo, n. 1, cod. pen., ritenuto all’evidenza come assorbente rispetto agli altri fattori attenuanti richiamati dalla difesa.
5.3. Infine, quanto al mancato riconoscimento dei doppi benefici di legge, la sentenza non merita parimenti censura avendone la Corte d’appello giustificato il diniego reputando pienamente condivisibile quello espresso dal primo giudice “considerato che entrambi gli imputati sono gravati da plurimi precedenti di polizia, avendo riportato varie denunce , il Whakim anche per analoghe condotte delittuose , oltre ad avere vari alias, di guisa che va formulata una prognosi assolutamente non favorevole alla concessione dei suddetti benefici, che, come insegna la giurisprudenza di legittimità, può fondarsi anche sui precedenti di polizia “.
Sul punto, la motivazione dei giudici territoriali non è suscettibile di alcun sindacato, in quanto è la stessa difesa a confermare l’esistenza quantomeno di un precedente di polizia a carico dell’attuale ricorrente per violazione delle norme in materia di immigrazione. Pacifico, infatti, è che la prognosi non favorevole alla concessione della sospensione condizionale della pena può fondarsi anche sui precedenti di polizia, poiché nessuna disposizione ne stabilisce l’inutilizzabilità, ed anzi l’art. 9, legge 1 aprile 1981, n. 121, prevede espressamente la possibilità di accesso dell’autorità giudiziaria ad essi “ai fini degli accertamenti necessari per i procedimenti in corso e nei limiti stabiliti dal codice di procedura penale” (Sez. 5, n. 9106 del 21/10/2019, Rv. 278685 – 01).
A ciò va aggiunto, inoltre, che il riconoscimento dei cosiddetti benefici di legge non costituisce un diritto dell’imputato, ma impone pur sempre una valutazione, essendo ammessa la sospensione condizionale (art. 164, comma primo, cod. pen.), soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, i giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. Proprio la valutazione che ha condotto il giudice di appello al diniego delle circostanze attenuanti generiche, attribuendo valenza dirimente al requisito indicato dall’art. 133, comma primo, n. 1, cod. pen., dunque, concorre a giustificare il diniego, non solo del beneficio di cui all’art. 163, cod. pen., ma anche di quello, pure facoltativo, di cui all’art. 175, cod. pen. il cui riconoscimento, al pari di quanto previsto per il
primo, è ammesso “avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, cod. pen.”.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 16 febbraio 2024
Il Presidente