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Particolare tenuità del fatto: no se l’atto è abituale

Un individuo, condannato per spaccio di lieve entità, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la reiterazione della condotta criminosa, che ne dimostra l’abitualità, impedisce la concessione del beneficio, anche a fronte di un reato considerato di lieve entità.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: la Cassazione chiarisce il requisito dell’abitualità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 12765/2024) offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis del codice penale. La Suprema Corte ha stabilito che la reiterazione delle condotte, anche se di lieve entità, è sufficiente a configurare l’abitualità del comportamento, escludendo così la possibilità di beneficiare di tale istituto. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale e confermata in appello nei confronti di un individuo per il reato di cessione di sostanze stupefacenti di lieve entità. Nello specifico, l’imputato era stato giudicato colpevole per aver venduto 21 grammi di hashish in cambio di 100 euro.

La difesa aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo il ricorrente, la modesta entità della cessione e le circostanze del reato avrebbero dovuto condurre a tale conclusione. Un secondo motivo di ricorso riguardava la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.

La Decisione della Cassazione sulla particolare tenuità del fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha articolato la sua decisione su due fronti distinti, corrispondenti ai motivi di ricorso presentati.

Per quanto riguarda la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., i giudici hanno ritenuto il motivo manifestamente infondato. Hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente identificato una ragione ostativa fondamentale: il carattere non occasionale della condotta.

In relazione al secondo motivo, relativo alle attenuanti generiche, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per una ragione procedurale: la questione non era stata sollevata nei motivi di appello e, pertanto, non poteva essere introdotta per la prima volta in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della sentenza è cruciale per comprendere i limiti applicativi della particolare tenuità del fatto. La Cassazione ha evidenziato che, per escludere il beneficio, non è necessario un precedente penale specifico, ma è sufficiente che il comportamento non sia occasionale. Nel caso di specie, era emerso dalle sentenze di merito che l’acquirente si era rifornito dall’imputato in altre 4 o 5 occasioni. Questa “significativa reiterazione delle condotte” è stata considerata prova dell’abitualità del comportamento, impedendo l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Inoltre, la Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale importante: la fattispecie di “lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990) e la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto” non sono concetti sovrapponibili. La prima si valuta sulla base di parametri specifici del reato (quantità e qualità della sostanza, mezzi, modalità), mentre la seconda richiede una valutazione più ampia che include il grado di colpevolezza, l’entità del danno e, appunto, il carattere non abituale della condotta. Il profitto di 100 euro, considerato “significativo”, ha ulteriormente rafforzato la correttezza della decisione di rigetto dei giudici di merito.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento rigoroso: la non punibilità per particolare tenuità del fatto è un beneficio riservato a condotte veramente sporadiche ed occasionali. La ripetizione di un’azione criminosa, anche se singolarmente di modesta gravità, delinea un’abitualità che è incompatibile con la ratio dell’istituto. Questa decisione serve da monito, chiarendo che la valutazione dell’abitualità non si limita ai precedenti penali formali, ma si estende all’analisi concreta della reiterazione dei comportamenti illeciti emersi nel corso del processo.

Perché è stata negata la non punibilità per particolare tenuità del fatto in questo caso?
La non punibilità è stata negata perché la condotta dell’imputato non era occasionale. Dalle sentenze di merito è emerso che l’individuo aveva venduto sostanze stupefacenti alla stessa persona in altre 4 o 5 occasioni, dimostrando così un comportamento abituale che osta all’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale.

Un reato di spaccio di “lieve entità” può automaticamente beneficiare della “particolare tenuità del fatto”?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che i due istituti non sono coincidenti. La “lieve entità” riguarda specificamente i reati di droga e si valuta in base a criteri come quantità e qualità della sostanza. La “particolare tenuità del fatto” è una causa di non punibilità generale che richiede requisiti ulteriori, tra cui il carattere non abituale della condotta, che in questo caso mancava.

È possibile sollevare una nuova questione per la prima volta durante il ricorso in Cassazione?
No, la sentenza conferma un principio consolidato della procedura penale. Un motivo di ricorso che non è stato precedentemente presentato al giudice d’appello non può essere proposto per la prima volta in sede di Cassazione, poiché ciò sottrarrebbe un grado di giudizio alla valutazione della questione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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