Particolare tenuità del fatto: no al beneficio se la condotta è ripetuta
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per escludere la punibilità di reati considerati di lieve entità. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della condotta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: la ripetizione del comportamento illecito può impedire il riconoscimento di questo beneficio, anche quando le violazioni rientrano in un unico disegno criminoso. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso presentato da un individuo condannato per il reato previsto dall’art. 385 del codice penale (evasione). La difesa del ricorrente non contestava la responsabilità penale, ma censurava la sentenza della Corte d’Appello per non aver applicato la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Nello specifico, si lamentava che i giudici di merito avessero escluso il beneficio basandosi unicamente sulla “duplicità delle violazioni della misura”, ritenendo tale motivazione insufficiente.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto che la decisione impugnata fosse immune da censure sul piano logico-giuridico e che il giudice di merito avesse correttamente valutato gli elementi a disposizione per negare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
Le Motivazioni: Particolare tenuità del fatto e condotta ripetuta
Il cuore della motivazione risiede nell’analisi del rapporto tra la particolare tenuità del fatto e la ripetizione della condotta. La Corte ha innanzitutto richiamato un importante principio stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18891 del 2022), secondo cui il beneficio è, in astratto, compatibile con il reato continuato. Questo significa che la presenza di più azioni illecite legate da un medesimo disegno criminoso non esclude automaticamente la tenuità del fatto.
Tuttavia, la Cassazione ha precisato che un conto è la compatibilità astratta, un altro è la valutazione concreta del caso specifico. Nel caso in esame, il giudice di merito non si è limitato a constatare la pluralità di violazioni, ma ha correttamente valorizzato la “ripetizione della condotta” come un elemento ostativo. Questo aspetto è cruciale: il quarto comma dell’art. 131-bis c.p. indica che il comportamento dell’autore del reato non deve essere “abituale”. La ripetizione di un’azione illecita, anche se commessa in un breve arco di tempo, può essere interpretata come un indice di non occasionalità del comportamento, impedendo così il riconoscimento della particolare tenuità.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione della Suprema Corte offre un importante insegnamento pratico. Anche se il reato commesso è di per sé di modesta entità, la sua reiterazione può essere decisiva per escludere l’applicazione della causa di non punibilità. La valutazione del giudice non si ferma alla singola azione, ma si estende al comportamento complessivo dell’imputato. Pertanto, la ripetizione di una condotta illecita, anche se riconducibile a un unico disegno, può essere considerata un fattore che denota una maggiore riprovevolezza e ostacola l’accesso a benefici come quello previsto dall’art. 131-bis c.p. La sentenza conferma che la non punibilità per tenuità del fatto è riservata a episodi criminosi genuinamente sporadici e occasionali.
È possibile applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a un reato continuato?
Sì, in linea di principio la giurisprudenza (Sezioni Unite n. 18891/2022) ammette la compatibilità astratta tra il reato continuato e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Perché la Cassazione ha negato il beneficio della particolare tenuità del fatto in questo caso specifico?
La Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente valorizzato la “ripetizione della condotta” come elemento ostativo. La reiterazione del comportamento illecito impedisce il riconoscimento del beneficio, in quanto indica che la condotta non è stata occasionale, come richiesto dall’art. 131-bis, quarto comma, del codice penale.
Qual è la conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la conferma definitiva della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21263 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21263 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG NUMERO_DOCUMENTO/24 – RAGIONE_SOCIALE
OSSERVA
Il motivo dedotto in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. è inammissibile perché manifestamente infondato.
In particolare, il ricorrente censura l’omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., lamentando nello specifico che il giudice di merito si sarebbe limitato “ad escludere la particolare tenuità del fatto sulla base della duplicità delle violazioni della misura” (cfr. p. 2 del ricorso). Sul punto, tuttavia, la sentenza impugnata risulta immune da censure sul piano logico-giuridico. Invero, posta – in astratto – la compatibilità tra la continuazione e la particolare tenuità del fatto (Sez. Un., n. 18891 del 27/01/2022, Rv. 283064), nel caso di specie il giudice di merito ha correttamente valorizzato la ripetizione della condotta quale elemento ostativo, ai sensi dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., al riconoscimento del beneficio.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2024