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Particolare tenuità del fatto: no se in detenzione

Un individuo in detenzione domiciliare, sorpreso con una mazza da baseball e un coltello fuori casa, si è visto negare l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ritenendo che commettere un reato durante una misura restrittiva come la detenzione domiciliare costituisce un elemento negativo decisivo che impedisce il riconoscimento di tale beneficio.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: escluso se il reato è commesso in detenzione domiciliare

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, escludendo la punibilità per reati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della condotta e del contesto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 45234/2024) ha chiarito che commettere un reato mentre si è sottoposti alla misura della detenzione domiciliare costituisce un ostacolo insormontabile al riconoscimento di tale beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato dal Tribunale di Cagliari per il reato di porto ingiustificato di oggetti atti a offendere. Nello specifico, l’imputato, che si trovava in regime di detenzione domiciliare con permessi di uscita in determinati orari, è stato fermato per un controllo mentre era fuori casa. Durante la perquisizione del suo veicolo, sono stati rinvenuti una mazza da baseball e un coltello da cucina di 17 cm.

Il Tribunale lo ha condannato alla pena di 800 euro di ammenda, riconoscendo le attenuanti generiche ma negando l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, richiesta dalla difesa.

Il Ricorso in Cassazione e la richiesta di particolare tenuità del fatto

La difesa ha presentato ricorso per cassazione, non contestando la materialità del fatto, ma lamentando l’illogicità della motivazione con cui il Tribunale aveva respinto la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. Secondo il ricorrente, la situazione concreta dimostrava un’offensività quasi nulla, poiché non vi era alcuna intenzione di utilizzare gli oggetti per commettere reati. La difesa sosteneva, inoltre, l’insussistenza del requisito della natura abituale del comportamento, un altro elemento che può precludere l’applicazione del beneficio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure manifestamente infondate. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale, sottolineando come la motivazione, sebbene sintetica, fosse del tutto adeguata e priva di vizi logici. Il punto cruciale, secondo la Corte, è proprio la circostanza che il reato sia stato commesso mentre l’imputato era sottoposto alla misura della detenzione domiciliare.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nel valore attribuito allo status di detenuto domiciliare. La Corte ha spiegato che la condotta di portare con sé, senza giustificato motivo, oggetti atti ad offendere durante un permesso di uscita dalla detenzione domiciliare assume un particolare rilievo negativo. Questo comportamento, infatti, dimostra una maggiore riprovevolezza e una scarsa adesione al percorso rieducativo, minando la fiducia concessa dall’ordinamento con la misura alternativa al carcere.

La Suprema Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale del giudizio di legittimità: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Le argomentazioni della difesa, tese a offrire una ‘rilettura’ alternativa dei fatti e a sottolineare l’assenza di un intento aggressivo, sono state considerate un tentativo inammissibile di sostituire la propria valutazione a quella, logica e congrua, del giudice di merito. L’assenza di un fine aggressivo, peraltro, è irrilevante per la configurazione del reato di porto di oggetti atti a offendere, che punisce la mera detenzione ingiustificata.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 45234/2024 stabilisce un principio di diritto chiaro e rigoroso: la commissione di un reato, anche se di per sé di modesta entità, durante la detenzione domiciliare è una circostanza che, di norma, impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Tale status soggettivo dell’autore del reato aggrava la valutazione complessiva della condotta, rendendola incompatibile con il giudizio di ‘minima offensività’ richiesto dall’art. 131-bis c.p. Questa decisione rafforza l’idea che le misure alternative alla detenzione richiedono un rispetto scrupoloso delle regole, e ogni violazione, anche se non direttamente collegata al reato per cui si sconta la pena, viene valutata con particolare severità.

È possibile ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto se si commette un reato durante la detenzione domiciliare?
No, la sentenza stabilisce che commettere il fatto in costanza di detenzione domiciliare è una circostanza di particolare rilievo negativo che osta all’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto.

Il porto ingiustificato di una mazza da baseball e un coltello è sempre un reato grave?
Il reato in sé (porto di armi od oggetti atti ad offendere) può essere considerato di lieve entità in alcune circostanze. Tuttavia, il contesto in cui viene commesso, come la detenzione domiciliare in questo caso, ne aggrava la valutazione e impedisce la qualificazione come ‘fatto di particolare tenuità’.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità. Come ribadito nella sentenza, il suo compito non è rivalutare gli elementi di fatto o proporre interpretazioni alternative, ma solo verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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