Particolare tenuità del fatto: esclusa per gestione illecita di rifiuti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8344 del 2024, ha affrontato un importante caso in materia di reati ambientali, chiarendo i limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La pronuncia conferma che la gravità della condotta, valutata in base a criteri oggettivi come la quantità di rifiuti e la durata dell’illecito, prevale sul comportamento tenuto dall’imputato dopo la commissione del reato, come la bonifica del sito. Questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere come la giurisprudenza bilancia la repressione dei reati ambientali con gli istituti di clemenza previsti dal nostro ordinamento.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un imprenditore condannato sia in primo grado dal Tribunale di Genova che in appello per il reato di gestione illecita di rifiuti, previsto dall’art. 256 del D.Lgs. 152/2006. All’imputato venivano contestate diverse violazioni: aver effettuato un deposito temporaneo di rifiuti per un periodo superiore a un anno, non aver compilato i registri di carico e scarico, non aver classificato i rifiuti (pericolosi e non) per categorie omogenee e averli infine conferiti presso un impianto non idoneo. Il quantitativo di rifiuti, depositati ‘alla rinfusa’ nel piazzale esterno dell’impresa, ammontava a circa 30 metri cubi.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, non per contestare la sua colpevolezza, ma unicamente per lamentare la mancata applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, ovvero la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto. A sostegno della sua tesi, ha evidenziato come, a solo un mese dal sopralluogo delle autorità, l’area fosse stata completamente ripulita.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno confermato la valutazione di gravità della condotta già espressa dai giudici di merito. La decisione di non concedere il beneficio della non punibilità è stata ritenuta corretta e adeguatamente motivata, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.
Le Motivazioni: la gravità oggettiva esclude la particolare tenuità del fatto
Il cuore della motivazione della Corte risiede nella valutazione della gravità oggettiva del reato, che rende inapplicabile l’istituto della particolare tenuità del fatto. Vediamo i punti chiave.
La Gravità della Condotta
La Cassazione ha ribadito che il giudizio di gravità espresso dal Tribunale e dalla Corte d’Appello era corretto. Gli elementi considerati determinanti sono stati:
1. La quantità di rifiuti: Circa 30 metri cubi rappresentano un volume significativo.
2. La natura dei rifiuti: La presenza di materiali anche pericolosi ha aggravato la condotta.
3. La durata della giacenza: Il deposito si è protratto per oltre un anno, superando ampiamente i limiti di legge per il deposito temporaneo.
Questi fattori, considerati nel loro insieme, delineano un quadro di illiceità non trascurabile, incompatibile con la ‘particolare tenuità’ richiesta dalla norma.
L’Irrilevanza del Comportamento Post-Reato
L’argomento principale del ricorrente, ovvero l’avvenuta pulizia del piazzale, è stato considerato recessivo. La Corte ha osservato che la decisione di appello, pur essendo successiva alla modifica normativa che impone di valutare anche la condotta susseguente al reato, ha implicitamente ritenuto tale bonifica insufficiente a sminuire la gravità originaria del fatto. In sostanza, il ravvedimento postumo non può cancellare un illecito che, per le sue caratteristiche oggettive, si è manifestato come grave e prolungato nel tempo. La motivazione dei giudici di merito, secondo la Cassazione, non è né illogica né contraddittoria e quindi non può essere messa in discussione in sede di legittimità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
La sentenza consolida un principio importante in materia di reati ambientali: la valutazione sulla tenuità del fatto deve basarsi primariamente sugli aspetti oggettivi e sulla portata lesiva della condotta illecita. Il comportamento successivo, come la bonifica, pur essendo un elemento da considerare, non opera come un ‘salvacondotto’ automatico. Per gli operatori del settore, ciò significa che non è possibile confidare in un intervento riparatore tardivo per sfuggire alle conseguenze penali di una gestione dei rifiuti palesemente illegale e protratta nel tempo. La gravità intrinseca della violazione, misurata su parametri concreti come volume, pericolosità e durata, rimane il criterio decisivo per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
La pulizia dell’area inquinata dopo la scoperta del reato può garantire l’applicazione della particolare tenuità del fatto?
No, secondo questa sentenza la condotta successiva al reato, come la pulizia dell’area, non è sufficiente a rendere il fatto di ‘particolare tenuità’ se la condotta originaria era grave per quantità di rifiuti, presenza di sostanze pericolose e durata dell’illecito.
Quali elementi rendono un reato di gestione illecita di rifiuti ‘grave’ al punto da escludere la non punibilità?
La sentenza evidenzia come elementi di gravità la notevole quantità di rifiuti (in questo caso circa 30 metri cubi), la presenza di rifiuti anche pericolosi e il lungo tempo di giacenza (oltre un anno).
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende, come stabilito dalla Corte. La condanna precedente diventa così definitiva.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8344 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/11/2023
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOME, nato a Genova il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 07/03/2023 della Corte di appello di Genova, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 7 marzo 2023 la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza in data 17 giugno 2022 del Tribunale di Genova che aveva condannato NOME COGNOME alle pene di legge per il reato dell’art. 256, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 152 del 2006, perché aveva effettuato un deposito temporaneo superiore a un anno, non aveva compilato i registri, non aveva classificato i rifiuti, pericolosi e non, per categorie omogenee, li aveva conferit presso un impianto non idoneo.
L’imputato ricorre per cassazione lamentando esclusivamente il diniego dell’art. 131-bis cod. pen. e osservando che dopo un mese dal sopralluogo il piazzale era stato ripulito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
E’ pacifica la condotta illecita, consistente nel deposito, alla rinfusa, nel piazzale esterno dell’impresa dell’imputato, di rifiuti, pericolosi e non, prodott durante la lavorazione, senza etichettatura e separazione per tipologia, quantificati in circa mc 30, non registrati nella documentazione interna. Il Tribunale di Genova ha espresso un giudizio di gravità della condotta, tenuto conto della quantità di rifiuti, anche pericolosi, e del tempo di giacenza di oltre un anno. La Corte di appello ha motivatamente confermato tale giudizio di gravità con una sentenza che, deve ritenersi, ha implicitamente considerato recessivo il post-factum della pulizia del piazzale rispetto alla gravità del fatto. La decisione è infatti intervenu in data successiva all’entrata in vigore in data 30 dicembre 2022 della modifica del primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. che prevede che si valuti anche la condotta susseguente al reato. Tale motivazione non è manifestamente illogica o contraddittoria e quindi non è censurabile in sede di legittimità.
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso, il 2 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il
Presidente