Particolare tenuità del fatto: quando il comportamento è “abituale”?
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per escludere la sanzione penale in casi di reati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a precisi limiti, tra cui l’assenza di un “comportamento abituale” da parte dell’autore del reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 14463/2024) offre un’importante chiave di lettura su come debba essere interpretato questo presupposto ostativo.
Il caso in esame: ricorso per evasione e richiesta di non punibilità
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato per il reato di evasione. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo il ricorrente, la condotta contestata possedeva i requisiti di lieve entità previsti dalla norma, meritando quindi di non essere sanzionata penalmente.
La decisione della Corte e l’applicazione del principio di abitualità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si basa su un orientamento consolidato, espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13681 del 2016. In tale pronuncia, i giudici hanno chiarito in modo definitivo i contorni del “comportamento abituale”, che impedisce l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
Il criterio delle Sezioni Unite per la particolare tenuità del fatto
Secondo le Sezioni Unite, il comportamento deve essere considerato abituale quando l’autore, anche in un momento successivo al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti penali, oltre a quello preso in esame. Questo criterio numerico serve a distinguere la condotta meramente occasionale da una tendenza a delinquere che, seppur manifestata attraverso reati minori, non è compatibile con il beneficio della non punibilità.
Le motivazioni
La Corte ha sottolineato che, per valutare l’abitualità, il giudice non è vincolato a considerare solo le condanne divenute irrevocabili. Al contrario, può fare riferimento a un quadro più ampio, che include:
1. Altri illeciti sottoposti alla sua stessa cognizione.
2. Precedenti reati che, in passato, sono stati dichiarati non punibili proprio in virtù dell’art. 131-bis c.p.
Questa interpretazione estensiva mira a prevenire un uso distorto della norma, che potrebbe altrimenti trasformarsi in una sorta di “franchigia” per chi commette reati minori con una certa regolarità. Il beneficio è pensato per l’autore di un singolo, trascurabile episodio, non per chi dimostra una persistente inclinazione a violare la legge penale.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessiva della condotta dell’imputato, che vada oltre il singolo episodio. La presenza di almeno altri due illeciti, anche se non ancora definiti con sentenza passata in giudicato, è sufficiente a configurare quel “comportamento abituale” che preclude l’accesso al beneficio. Questa decisione conferma la volontà della giurisprudenza di riservare l’istituto a situazioni di criminalità genuinamente sporadica e occasionale, escludendo coloro che manifestano una serialità nel commettere reati.
Quando un comportamento è considerato “abituale” ai fini dell’esclusione della particolare tenuità del fatto?
Secondo la Corte, un comportamento è abituale quando l’autore ha commesso almeno due illeciti, oltre a quello per cui si procede, anche se questi sono stati commessi in un momento successivo.
Per valutare il comportamento abituale, il giudice può considerare solo le condanne definitive?
No, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili, ma anche ad altri illeciti sottoposti alla sua cognizione e persino a reati precedentemente ritenuti non punibili per la stessa causa di tenuità del fatto.
Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, poiché il motivo del ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato alla luce del comportamento abituale dell’imputato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14463 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14463 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VASTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/06/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.G. n. 28940/2023
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di evasione);
EsamiNOME il motivo di ricorso, relativi al mancato riconoscimento della causa di non punibili per particolare tenuità del fatto;
Ritenuti il motivo inammissibile perché manifestamente infondato, avendo le Sezioni unite spiegato come, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibi prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il comportamento deve considerarsi abituale quando l’autor anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 in cui in motivazione, la Corte ha aggiunto che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può f riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131 bis cod. pen.).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 dicembre 2023.