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Particolare tenuità del fatto: no se il reato è abituale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni per ottenere il gratuito patrocinio. La Corte ha escluso l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sottolineando che la commissione di tre reati della stessa indole configura l’abitualità, ostativa al beneficio, anche se i reati sono giudicati nello stesso processo.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare Tenuità del Fatto: Quando la Pluralità di Reati Esclude il Beneficio

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di escludere la punibilità per reati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a precisi limiti, tra cui l’assenza di un comportamento “abituale” da parte dell’autore del reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la commissione di più reati della stessa indole, anche se giudicati nello stesso processo, integri proprio quella condizione di abitualità che impedisce il riconoscimento del beneficio.

I Fatti del Caso: False Dichiarazioni per il Gratuito Patrocinio

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per aver falsamente attestato le proprie condizioni reddituali al fine di ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Nello specifico, l’imputato aveva presentato tre diverse istanze infedeli in tre distinti procedimenti penali in un arco temporale di poco più di un anno. La Corte d’Appello di Bari aveva confermato la sua responsabilità penale, comminando una pena di un anno e due mesi di reclusione e 700 euro di multa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi principali:
1. La violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Secondo la difesa, la minima differenza tra il reddito dichiarato e quello accertato avrebbe dovuto condurre alla non punibilità.
2. L’eccessività della pena inflitta per il reato continuato.
3. La carenza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato (il dolo), sostenendo che i giudici di merito si fossero limitati a considerare il dato oggettivo della differenza di reddito.

La Decisione della Corte: l’Importanza della Particolare Tenuità del Fatto e l’Abitualità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti applicativi dell’art. 131-bis c.p. e sulla corretta formulazione dei motivi di ricorso.

L’Abitualità come Causa Ostativa

Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo. La Corte ha stabilito che il ricorrente non si è confrontato con la ratio decidendi della sentenza d’appello. I giudici di merito, infatti, avevano escluso la tenuità del fatto non solo per l’entità della falsità, ma soprattutto perché l’imputato aveva commesso ben tre reati della stessa indole.

Secondo la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite, la commissione di almeno due reati della stessa indole, anche se successivi a quello per cui si procede, configura il “comportamento abituale” che osta all’applicazione del beneficio. È irrilevante che tali reati siano giudicati nello stesso procedimento e uniti dal vincolo della continuazione. La pluralità di condotte illecite, sintomo di una tendenza a delinquere, è di per sé sufficiente a precludere l’accesso alla causa di non punibilità.

La Critica alla Pena e alla Motivazione

Anche gli altri due motivi sono stati giudicati inammissibili. La Corte ha ritenuto che la critica alla quantificazione della pena fosse una censura di fatto, volta a sostituire la valutazione discrezionale del giudice di merito con quella della difesa, operazione non consentita in sede di legittimità. Infine, il motivo relativo al vizio di motivazione sull’elemento soggettivo è stato qualificato come “non motivo”, in quanto non contestava una reale assenza di motivazione o una sua manifesta illogicità, ma si limitava a lamentare una presunta inadeguatezza, senza però confrontarsi con gli elementi concreti valorizzati dalla Corte d’Appello (come la convivenza con altri percettori di reddito e la dichiarazione di redditi diversi nello stesso anno).

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di rigore procedurale e sostanziale. In primo luogo, un ricorso per cassazione è inammissibile se non si confronta specificamente con le ragioni della decisione impugnata. Non basta lamentare una carenza di motivazione in astratto; è necessario dimostrare perché la motivazione esistente sia contraddittoria, illogica o assente.

In secondo luogo, e sul piano sostanziale, la Corte ribadisce che la particolare tenuità del fatto non è un beneficio accessibile a chiunque commetta un reato di per sé non grave. Il legislatore ha voluto escludere dalla non punibilità i comportamenti che, sebbene singolarmente di modesta entità, rivelano una propensione a violare la legge. La commissione di tre reati identici in un breve lasso di tempo è la prova lampante di tale propensione, rendendo il comportamento “abituale” e, di conseguenza, non meritevole della clemenza prevista dall’art. 131-bis c.p.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: la valutazione sulla tenuità del fatto non può prescindere da un’analisi complessiva della condotta dell’imputato. La pluralità di reati della stessa indole, anche se contestati in un unico processo, è un indicatore di abitualità che impedisce l’applicazione dell’istituto. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi specifici e pertinenti, che dialoghino criticamente con la sentenza impugnata, pena l’inammissibilità. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: la reiterazione di condotte illecite, per quanto di modesta gravità, non sarà trattata con clemenza dal sistema giudiziario.

È possibile ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto se si commettono più reati dello stesso tipo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la commissione di più reati della stessa indole integra il ‘comportamento abituale’, una condizione che osta all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

La commissione di più reati, uniti dal vincolo della continuazione, è compatibile con la ‘particolare tenuità del fatto’?
No. La Corte ha chiarito che l’istituto del reato continuato non esclude l’abitualità della condotta. Anche se i reati sono parte di un medesimo disegno criminoso e giudicati nello stesso processo, la loro pluralità è sufficiente a configurare l’abitualità che impedisce il riconoscimento del beneficio.

Cosa significa che un motivo di ricorso è un ‘non motivo’?
Significa che il motivo presentato, al di là della sua formulazione formale, non solleva una critica ammissibile in sede di legittimità. Ad esempio, non denuncia una reale assenza di motivazione o una sua manifesta illogicità, ma si limita a lamentare una generica ‘carenza’ o ‘inadeguatezza’ senza confrontarsi con le argomentazioni specifiche della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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