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Particolare tenuità del fatto: no se il fine è elusivo

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni. La richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto è stata respinta perché il motivo era generico riguardo ai precedenti penali e perché la Corte di merito aveva correttamente valutato la gravità dell’offesa, considerando anche il ‘fine elusivo’ del reato.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: la Cassazione chiarisce i limiti

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131 bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di escludere la punibilità per reati di minima gravità. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta di specifici requisiti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini di tale istituto, chiarendo come la genericità del ricorso e la finalità elusiva della condotta possano precluderne il riconoscimento.

I fatti del processo

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale, previsto dall’art. 495 del codice penale. La condanna, emessa in primo grado, era stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidando le sue speranze a un unico motivo: il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.

Il motivo del ricorso e la valutazione della particolare tenuità del fatto

La difesa dell’imputato sosteneva che il comportamento tenuto non fosse abituale e che, pertanto, dovesse trovare applicazione l’art. 131 bis c.p. Secondo la tesi difensiva, i precedenti penali a carico dell’imputato non potevano essere considerati ostativi, in quanto non riconducibili alla categoria dei reati della ‘stessa indole’ come delineata dall’art. 101 del codice penale. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto tale motivo di ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali: la genericità e la manifesta infondatezza.

La decisione della Corte di Cassazione

Gli Ermellini hanno innanzitutto qualificato il motivo come ‘generico’. L’imputato, infatti, si era limitato ad affermare in maniera apodittica che il suo comportamento non fosse abituale, senza però fornire argomenti concreti per spiegare perché i suoi precedenti penali non dovessero essere considerati della ‘stessa indole’. Un’affermazione di principio, priva di un’analisi specifica, non è sufficiente a superare il vaglio di legittimità.

In secondo luogo, il ricorso è stato giudicato ‘manifestamente infondato’. La Corte ha evidenziato come i giudici d’appello avessero già fornito una motivazione adeguata e logica per escludere la tenuità dell’offesa. La gravità del fatto era stata valutata come ‘non trascurabile’, non solo sulla base degli elementi oggettivi, ma anche tenendo conto del ‘fine elusivo’ perseguito dall’agente. Questo scopo, volto a ingannare o a sottrarsi a conseguenze legali, conferisce al reato una gravità intrinseca che va oltre il mero dato formale.

Le motivazioni

La Corte Suprema, con questa ordinanza, ribadisce un principio cruciale: la valutazione della particolare tenuità del fatto è un giudizio complesso che non si esaurisce in un’analisi superficiale. Per escludere l’abitualità del comportamento, non basta negare genericamente la rilevanza dei precedenti penali; è necessario argomentare specificamente sul perché tali precedenti non rientrino nel concetto di ‘stessa indole’.
Inoltre, la gravità dell’offesa, altro pilastro dell’art. 131 bis c.p., deve essere apprezzata in concreto. La motivazione della Corte di merito, che aveva valorizzato il ‘fine elusivo’ della condotta, è stata ritenuta corretta e sufficiente. Questo elemento soggettivo è determinante per qualificare il disvalore del fatto e, di conseguenza, per negare il beneficio della non punibilità.

Le conclusioni

In conclusione, la decisione della Cassazione conferma che l’accesso alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è subordinato a oneri argomentativi precisi per chi la invoca. Non sono ammesse doglianze generiche o apodittiche. La valutazione del giudice deve considerare tutti gli aspetti della condotta, inclusa la finalità perseguita dall’agente, che può essere decisiva nel determinare una gravità ‘non trascurabile’ dell’offesa. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico, in quanto l’imputato si è limitato ad affermare che il suo comportamento non fosse abituale senza contestare specificamente le ragioni per cui i suoi precedenti penali non fossero della ‘stessa indole’, e manifestamente infondato, dato che la Corte d’Appello aveva già motivato adeguatamente la gravità del fatto.

Cosa si intende per reati della ‘stessa indole’?
Secondo l’ordinanza, i reati della ‘stessa indole’, come delineati dall’art. 101 c.p., sono quelli che, pur diversi, rivelano una medesima tendenza a delinquere dell’autore. La valutazione di questa caratteristica è fondamentale per determinare se il comportamento dell’imputato possa essere considerato ‘abituale’ ai fini dell’esclusione della particolare tenuità del fatto.

Quali elementi ha considerato la Corte per valutare la gravità dell’offesa?
Per escludere la particolare tenuità, la Corte ha considerato non solo gli elementi oggettivi del reato, ma ha dato particolare rilievo al ‘fine elusivo’ perseguito dall’agente. Questa finalità è stata ritenuta un indicatore di una ‘non trascurabile gravità’ dell’offesa, sufficiente a negare l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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