Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10943 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10943 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Eboli il 3/9/1976
avverso la sentenza del 5/11/2024 della Corte di appello di Salerno
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 novembre 2024 la Corte di appello di Salerno ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città il 4 marzo 2024, con cui NOME COGNOME è stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di evasione.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, non essendo state notificate al difensore dell’appellante le conclusioni scritte, depositate dalla Procura generale presso la Corte di appello, a seguito del giudizio incardinato nella forma della camera di consiglio non partecipata.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione, non essendo il decreto di citazione per il giudizio di appello stato notificato allìimputata nel rispetto del termine di 40 giorni prima della celebrazione dell’udienza.
2.3. Violazione di legge e vizi della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. La Corte territoriale non avrebbe effettuato una valutazione congiunta degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e non avrebbe valorizzato sia la breve distanza tra il luogo in cui l’imputata era stata sorpresa e quello in cui era ristretta agli arresti domiciliari sia l’essere stata trovata da sola, senza l compagnia di terze persone, e l’episodicità dell’accaduto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il processo di appello è stato celebrato nella forma della camera di consiglio non partecipata ai sensi dell’art. 598-bis cod. proc. pen., che prevede che, fino a quindici giorni prima dell’udienza, il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie.
Tale norma, a differenza dell’art. 23-bis, comma 2, D.L. n. 137/2020, conv. nella L. n. 176/2020, non prevede che le richieste scritte del procuratore generale siano inviate alle parti e la ragione della mancata trasmissione a cura della cancelleria è del tutto evidente.
Nel periodo di emergenza Covid, per motivi di sicurezza pubblica, l’accesso agli uffici giudiziari è stato fortemente limitato, sicché il legislatore ha onerato l cancelleria dell’immediata trasmissione degli atti depositati dalle parti, onde preservare il contraddittorio processuale, sia pure in forma cautelare. Di contro, l’art. 598-bis cod. proc. pen. (introdotto con la cd. riforma Cartabia) non prevede la comunicazione telematica alle parti delle richieste del procuratore generale poiché le parti, interessate a conoscerle, sono nella condizione di poterne richiedere copia, facendo accesso presso la cancelleria a partire dal quattordicesimo giorno antecedente l’udienza.
Nessuna violazione del contrattorio, dunque, può lamentare la ricorrente, che poteva farsi carico di accedere alla cancelleria della Corte di appello di Salerno, dopo lo spirare del termine di cui all’art. 598-bis, comma 1, cod. proc. pen., per acquisire copia delle richieste scritte del procuratore generale.
3. Il secondo motivo è privo di specificità.
L’inosservanza del termine di 40 giorni per la notifica del decreto di citazione, di cui si lamenta la ricorrente, concretizza una nullità a regime intermedio, relativa all’intervento dell’imputato, da rilevarsi o eccepirsi entro i termini previsti dall’art. 180 cod. proc. pen. e, quindi, nel caso in esame, con memoria da depositarsi prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (in questi termini S.U., n. 42125 del 27/6/2024, COGNOME, Rv 287096 – 02).
Incombente, questo, che la ricorrente neppure ha dedotto di avere effettuato.
Anche il terzo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è privo di specificità.
Come affermato dal massimo Consesso di questa Corte, il giudizio sulla particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01).
La mancanza di un’effettiva lesività, per cui l’atto tipico, pur in astratto conforme al modello criminoso normativamente previsto, non costituisce reato punibile, deve, dunque, emergere all’esito di un momento valutativo di sintesi. La sussistenza dell’esimente è, però, con ogni evidenza preclusa quando emerga anche un solo elemento negativo, indipendentemente dall’eventuale allegazione di ulteriori circostanze, preesistenti o sopravvenute, astrattamente rilevanti, ma non idonee in concreto ad elidere o a ridurre in maniera significativa i profili di segno contrario.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha valorizzato le plurime condanne definitive, riportate dall’imputata, e la circostanza che l’evasione non è stata commessa per far fronte ad apprezzabili e impellenti esigenze. La menzionata Corte ha aggiunto che tali elementi non risultavano scalfiti dai profili di censura sollevati dall’appellante, atteso che la protrazione dell’allontanamento per un breve periodo di tempo non è stata la conseguenza di una scelta spontanea dell’imputata, ma esclusivamente della sorpresa in flagranza da parte dei carabinieri, preposti al controllo.
A fronte di siffatte argomentazioni, con cui la ricorrente non si è confrontata, va rilevato che la motivazione della sentenza impugnata è rispettosa dei criteri
previsti dall’art. 131-bis cod. pen., congrua, priva di contraddizioni o di profili di manifesta illogicità.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente