Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26694 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26694 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SANT’ANASTASIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 giugno 2023 la Corte di appello di Napoli, nel riformare la sentenza del Tribunale di Nola dell’11/11/2021, dichiarando la prescrizione del reato di cui al Capo A) della rubrica condannava RAGIONE_SOCIALE NOME alla pena di mesi 4/éd euro 68,60 di rcclusionc-per il reato di violazione di sigilli.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorre per cassazione, lamentando vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Ed infatti, la violazione dei sigilli è un reato istantaneo, che si perfeziona con il solo fatto della manomissione del bene vincolato (Sez. 4, n. 4856 del 15/01/2016, COGNOME, n.m.). È un reato di pericolo astratto, dato che si appresta una forma di tutela anticipata del bene giuridico protetto, realizzata mediante la protezione diretta dei sigilli apposti dalla pubblica autorità, senza che sia necessaria anche la alterazione o sottrazione del bene vincolato.
Il reato ha natura istantanea e si perfeziona sia con la materiale violazione dei sigilli, sia con ogni condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilit imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell’autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione del persistente res (sez. 3, n. 37398 del 7.7.2004, Priolo, rv. 230043).
La Corte ha anche condivisibilmente precisato che tale reato è integrato non solo dalla rimozione o la distruzione dei sigilli apposti, ma anche da ogni condotta di modifica dell’immobile che, pur lasciando intatti i sigilli, sia idonea a frustarne le finalità di assicurazione della cosa, con la conseguenza che, una volta avvenuta l’ultimazione dell’opera, e, quindi, terminata l’illecita attivi edificatoria che l’apposizione dei sigilli era diretta ad impedire, rimane irrilevant il successivo utilizzo dell’immobile ai fini abitativi (sez. 3, n. 29974 del 6.5.2014 Sullo, rv. 260499).
Ciò che assume rilievo penale è quindi la condotta che, pur non determinando la distruzione effettiva dei sigilli, eluda il vincolo di immodificabilit imposto (Sez. F, n. 39050 del 26/08/2008 – dep. 16/10/2008, COGNOME e altri,
Rv. 241379; Sez. 3, n. 16000 dei 12/02/2003 – dep. 07/04/2003, Carpanese S, Rv. 224472).
La norma richiede, inoltre, il solo dolo generico, da individuarsi nella volontà di violare i sigilli, nella consapevolezza della funzione giuridica degli stessi d assicurare la conservazione o l’identità della cosa sequestrata (così, per tutte: Cass. pen., sez. VII, 08.02.2019, n. 24276).
La Corte di appello, dopo avere evidenziato la inequivoca sussistenza del reato (posto in essere in continuazione rispetto alla realizzazione dell’opera su zona gravata da vincolo paesaggistico), ha ritenuto non sussistenti i requisiti per applicare la causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen. in ragione della particolare intensità del dolo dell’imputato, il quale, anziché fif”procedere a demolire gli abusi, ha violato i sigilli proseguendo l’attività illecita e c aumentando l’impatto sul paesaggio.
Tale motivazione fa buon governo dei principi espressi da questa Corte in materia di particolare tenuità del fatto.
La speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta – è configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo congiuntamente richieste la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. (fra i quali rientra l’intensità dolo), cui segue, in caso di vaglio positivo – e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell’offesa -, la verifica della non abitualità d comportamento
Si è anche affermato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-b cod. pen., non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, quando le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva (Sez. 2, n. 9495 del 07/02/2018 – dep. 02/03/2018, P.G. in proc. Grasso, Rv. 272523) (Sez. 3, n. 30535 del 30/05/2019, NOME, n.m.).
Nel caso di specie, come visto, la Corte territoriale ha evidenziato, con valutazione in fatto non rivalutabile in sede di legittimità ove sorretta da congrua motivazione, che sussisteva proprio quella «progressione criminosa» che osta all’applicazione dell’istituto in argomento.
Il ricorso, che non si confronta in modo realmente critico con la sentenza impugnata, è pertanto generico.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 19 aprile 2024.