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Particolare tenuità del fatto: no se c’è detenzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per essere rimasto in Italia dopo un ordine di espulsione. La Corte ha confermato la decisione del giudice di merito di non applicare l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, considerando lo stato di detenzione dell’imputato come un indice della sua mancata volontà di integrazione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare Tenuità del Fatto: Quando lo Stato di Detenzione Nega il Beneficio

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 5822 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il caso riguarda un cittadino straniero condannato per essersi trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato dopo un ordine di espulsione. La Suprema Corte ha stabilito che lo stato di detenzione dell’imputato può essere legittimamente interpretato come un indice di mancata volontà di integrazione, ostacolando così il riconoscimento del beneficio.

I Fatti del Caso: La Permanenza Illegale e il Ricorso in Cassazione

Il Giudice di Pace di Milano aveva condannato un cittadino straniero per il reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, del Testo Unico sull’Immigrazione. L’imputato, dopo aver ricevuto un ordine di allontanamento dal Questore di Milano nel febbraio 2019, si era trattenuto nel territorio nazionale senza un giustificato motivo.

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e un vizio di motivazione. Il punto centrale del ricorso era il mancato accoglimento dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 274/2000.

La Valutazione della Particolare Tenuità del Fatto

L’istituto della particolare tenuità del fatto consente al giudice di non procedere penalmente quando il reato commesso ha causato un danno o un pericolo di minima entità. Per applicarlo, il giudice deve considerare diversi parametri: l’esiguità del danno, l’occasionalità della condotta, il ridotto grado di colpevolezza e il potenziale pregiudizio che il processo potrebbe arrecare alle esigenze di vita (lavoro, studio, famiglia) dell’imputato.

Nel caso specifico, il Giudice di Pace aveva negato il beneficio basandosi su un elemento soggettivo: lo stato di detenzione dell’imputato. Questa condizione è stata vista come un “indice di carenza di volontà di integrarsi nel tessuto sociale del Paese ospite”.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione del primo giudice. Secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, era congrua e priva di illogicità. I giudici hanno sottolineato che la valutazione sulla tenuità del fatto non può prescindere da indicatori relativi alla personalità e alla condotta dell’imputato.

Lo stato di detenzione, anche se per altre cause, è stato considerato un valido “fattore ostativo di tipo soggettivo”. In assenza di elementi contrari forniti dalla difesa – come prove di un percorso di integrazione o di un legame stabile con il territorio – il giudice ha legittimamente concluso che non sussistevano i presupposti per applicare la causa di non punibilità. La decisione si fonda sull’idea che la condotta complessiva dell’individuo, e non solo il singolo reato, influenzi il giudizio sulla meritevolezza del beneficio.

Conclusioni: Le Implicazioni per la Difesa

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: la valutazione sulla particolare tenuità del fatto è complessa e tiene conto sia di aspetti oggettivi (la gravità del reato) sia soggettivi (la condotta e la personalità dell’imputato). Lo stato di detenzione, interpretato come un sintomo di mancata integrazione, può diventare un ostacolo insormontabile per ottenere la non punibilità. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente evidenziare la lieve entità del reato contestato; è fondamentale fornire al giudice elementi concreti che dimostrino una volontà di integrazione e un comportamento complessivamente non antisociale, capaci di controbilanciare eventuali indicatori negativi come, appunto, la detenzione.

Può essere applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a un immigrato irregolare?
In linea di principio sì, ma la sua applicazione dipende da una valutazione complessiva che include l’esiguità del danno, l’occasionalità della condotta e il grado di colpevolezza. Elementi soggettivi, come la condotta dell’imputato, sono determinanti.

Perché lo stato di detenzione ha impedito l’applicazione della particolare tenuità del fatto in questo caso?
Perché il giudice lo ha interpretato come un “indice di carenza di volontà di integrarsi nel tessuto sociale del Paese ospite”. È stato considerato un fattore soggettivo negativo che, in assenza di prove contrarie, ha giustificato il diniego del beneficio.

Qual era l’onere della difesa per ottenere il riconoscimento della particolare tenuità del fatto?
La difesa avrebbe dovuto fornire elementi ulteriori a sostegno di una diversa valutazione. Ad esempio, prove che dimostrassero un percorso di integrazione, legami familiari o lavorativi nel territorio, o altre circostanze che potessero controbilanciare la valutazione negativa derivante dallo stato di detenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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