Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30911 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 3 Num. 30911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 10/09/2001 avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 29/02/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 Febbraio 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, il 2 novembre 2022 aveva condannato COGNOME NOME -imputato del reato di cui all’art. 73, comma 5, dPR 309/90, così riqualificata l’originaria imputazione- alla pena, sospesa, di mesi sei di reclusione ed euro 4000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro.
Avverso la sentenza COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto tempestivo ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato a tre motivi.
2.1. Col primo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 73 comma 5, dPR 309/90.
A fronte della contestazione di detenzione e cessione, a terzi, di sostanza stupefacente del tipo hashish del peso complessivo di grammi 2, la decisione adottata in termini di responsabilità del ricorrente sarebbe irrazionale ed illogica non essendo stato chiarito l’effettivo suo ruolo -venditore o acquirente- rivestito nella concretezza della vicenda, laddove, sulla base della medesima piattaforma ‘indiziaria’, già il giudice del giudizio direttissimo, in sede di convalida, ave ritenuto di non poter applicare misura alcuna, tanto più sulla scorta della valutazione della natura e della quantità di stupefacente detenuto, della giovane età e della incensuratezza del COGNOME. Illogica secondoffirospettazione difensiva sarebbe stata la valorizzazione a tal finea)del tentativo di fuga -proprio, anche, di colui che si assume essere stato acquirente- e della volontà di sbarazzarsi del giubbino -ove lo stupefacente era detenuto-; b)della disponibilità della somma di denaro -circa 120 euro- compatibile anche con una provvista per l’acquisto; c)delle modalità di confezionamento ed occultamento -compatibili anche con il controllo nell’immediatezza dell’acquisto-; d)della asserita coeva cessione di una dose di droga, asserito frutto di un’osservazione a distanza da parte degli operanti priva di oggettivi riscontri.
2.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., violazione di legge penale in relazione all’art. 131-bis cod.pen., per non essere stata ritenuta la causa di non punibilità così invocata nonostante la tipologia hashish- e la quantità -due grammi- di sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilità dell’odierno ricorrente, l’incensuratezza e la giovane età del COGNOME, già valorizzate in suo favore dal giudice del rito direttissimo in sede di convalida.
Censura, inoltre, la valutazione della personalità del COGNOME come fortemente negativa, in quanto attinto da plurime sentenze di condanna, da cui la conclusione del mancato effetto rieducativo o special preventivo nei confronti del ricorrente
della sentenza impugnata, laddove le due sentenze di condanna cui accenna la Corte territoriale risultano riferibili a condotte successive a quella per cui procedimento.
Rammenta l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione secondo cui il riconoscimento della causa di non punibilità invocata non è precluso dall’esistenza di precedenti penali.
2.3. Col terzo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett b) cod.proc.pen., violazione di legge penale in relazione agli artt. 62 n. 4 e 62-bis cod.pen..
Censura il mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen. sulla scorta della ritenuta acclarata capacità di gestire una piazza di spaccio e della intensità del vulnus arrecato al bene giuridico tutelato dalla norma.
Censura, anche, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche negate in forza del dato di personalità e delle concrete modalità dell’azione e della condotta, valutate, entrambe, in termini non coerenti con le risultanze acquisite, in contrasto coi criteri ermeneutici frutto di consolidato orientamento della Corte di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.Inammissibile è il primo motivo di ricorso, con cui si deduce vizio della motivazione della sentenza impugnata.
Viene riproposto il tema del dubbio sulla condotta dell’imputato, di cessione o di acquisto dello stupefacente, dubbio espresso in sede di convalida dell’arresto, poi fugato, nei giudizi di merito, così in primo come in secondo grado.
Il motivo non si confronta, in particolare, con la motivazione della sentenza d’appello, che richiama quanto sul punto direttamente osservato dagli operanti, e, precisamente, previo rinvio alla sentenza di primo grado, la circostanza che nell’occorso gli operanti «hanno notato un soggetto che, alla loro vista, si è defilato repentinamente all’interno del padiglione ubicato all’altezza del civico INDIRIZZO della INDIRIZZO. Qualche minuto dopo, poi, quello stesso individuo è stato osservato dalla P.G. procedente nell’atto di cedere ad un terzo ‘qualcosa di scuro avvolto attorno ad una plastica’, dietro dazione di una banconota da dieci euro. Immediatamente dopo l’avvenuto scambio i due soggetti, accortisi della presenza degli agenti di P.G., si sono dati alla fuga, procedendo in direzioni opposte. Quindi i Carabinieri si sono portati con l’autovettura di servizio in corrispondenza dell’unica via di fuga del COGNOME, il quale, non accorgendosi della loro presenza, ha interrotto la propria corsa per togliersi il giubbino che aveva addosso e, dopo averlo avvolto su se stesso, lo ha occultato all’interno di un’aiuola
poco distante». Condotte quelle appena descritte, cui faceva seguito, in prima battuta, la negazione da parte del COGNOME di essersi sbarazzato del giubbino, quindi, una volta recuperato lo stesso da parte degli agenti, il goffo tentativo di dare la spiegazione, alternativa, di essersene sbarazzato perché sentiva caldo (si rappresenta che i fatti sono stati commessi nel mese di gennaio).
Risultanze correttamente interpretate a sostegno della contestata detenzione e cessione di hashish, per grammi due, posto che la Corte territoriale ha rilevato come l’azione della cessione è caduta sotto la diretta percezione degli operanti; che a fronte della stessa è stato accertato il pagamento di 10 euro; che indosso al COGNOME è stata rinvenuta sostanza del tipo hashish per 2 grammi -singolarmente confezionata ed occultata negli slip-; che la somma rinvenuta in suo possesso, nella tasca del giubbotto di cui ha tentato di disfarsi e che non ha negato di possedere, risultava sproporzionata rispetto all’allegata possibile alternativa destinazione all’acquisto di stupefacente per suo uso personale.
1.2. Si tratta di motivazione coerente con le risultanze probatorie e non manifestamente illogica, nel mentre la difesa, sotto le mentite spoglie del vizio di motivazione, tende ad introdurre una diversa, e più favorevole all’imputato, alternativa lettura delle stesse, in questa sede inammissibile.
Nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17/01/2023, COGNOME, n.m.) sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati d giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Ciò determina l’inammissibilità di tutti quei profili (come quelli proposti dal difesa) che concernono la valutazione degli elementi di prova, quali il linguaggio contenuto nelle intercettazioni telefoniche o la valutazione delle immagini riprese, in cui si contesta la «lettura» degli elementi di prova da parte dei giudici del merito, che sono pertanto inammissibili, posto che si chiederebbe alla Corte di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini de decisione, operazione preclusa salvo che si deduca un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; ed infatti, il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, è coltivabile solo ove esso sia «evidente», cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ()culi (Sez. U., n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01, cit.), circostanza non ricorrente nel caso di specie.
2. Infondato è il secondo motivo.
Si contesta la valutazione in relazione alla causa di non punibilità ex art. 131-bis cod.pen., operata ex post dalla Corte d’appello, fondata, secondo il ricorso, su due condanne per fatti successivi a quelli per cui si procede e per pene già scontate. Innanzi tutto nulla al proposito è allegato al ricorso.
D’altra parte, la difesa invoca, a sostegno della propria richiesta, unicamente il dato quantitativo della sostanza rinvenuta – già valutato ai fini del riconoscimento dell’ipotesi del quinto comma- e l’addotta incensuratezza all’epoca della commissione del reato, ampiamente superata quest’ultima nei fatti e in particolare per via della condanna richiamata dalla Corte d’appello, la quale dà congruamente conto della negativa personalità del ricorrente. E, infatti, la sentenza impugnata in realtà richiama plurime sentenze di condanna, una delle quali, la terza del certificato penale, per detenzione di armi clandestine, ricettazione, detenzione illecita e cessione di stupefacenti, fatti commessi in epoca successiva alla sentenza di primo grado.
Quanto all’addotta espiazione delle pene già riportate e al paventato rientro nel circuito carcerario di un giovane per la detenzione di 2 grammi di hashish, si rileva che dalla sentenza risulta lo stato di detenzione in carcere dell’imputato odierno ricorrente per altra causa, e che, in ogni caso, la contenuta pena irrogata (sei mesi di reclusione e 4.000 euro di multa) è stata condizionalmente sospesa dal giudice di primo grado (per come riportato nella intestazione della sentenza qui impugnata).
2.1. L’art. 131-bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale». In particolare, la norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, n.m.), oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), «richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità d comportamento.
Il primo degli “indici-criteri” (così li definisce la relazione allegata allo schema decreto legislativo) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, articola a sua volta in due “indici-requisiti” (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce della condotta successiva al fatto, a
seguito della modifica introdotta dal d. Igs. n. 150 del 10/10/2022). Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti», sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quell della «non abitualità» del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità. Si richiede, in breve, «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto. Per ciò che qui interessa, non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore» (Sez. U, n. 13681/2016, Tushaj, cif,dta).
2.2. Il motivo è, dunque, infondato, posto che la Corte territoriale ha valutato, negativamente, in uno con la condotta, anche la personalità del ricorrente, gravato da sentenze di condanna anche per fatti dello stesso tipo di quello per cui si procede, e la condotta tenuta in epoca successiva a quella dedotta in imputazione ed oggetto di condanna con la sentenza qui impugnata, deducendone, in relazione alla stessa (e non dunque in relazione alle altre condanne già passate in giudicato) l’assenza di qualsiasi effetto deterrente (indipendentemente dalla definitività o meno della stessa).
Si tratta di motivazione coerente coi dati acquisiti al processo e adottata secondo corretta interpretazione della norma e della giurisprudenza di questa Corte in materia, che si sottrae, perciò, alle censure di violazione di legge elevate dalla difesa.
Infondato è, pure, il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante, comune, di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen., e delle attenuanti generiche.
3.1. La Corte del territorio (cfr. pag. 5) ha motivatamente escluso di poter riconoscere la prima, pur in presenza della ‘derubricazione’ del fatto nei limiti di quello di lieve entità, per la capacità di reggere una piazza di spaccio, per l’entità della somma detenuta dal ricorrente, costituita da banconote di medio e piccolo taglio, circostanza ritenuta indicativa dell’essere la stessa provento di spaccio, per l’intensità del vulnus al bene giuridico protetto dalla norma da parte di soggetto che, pur giovanissimo, già era latore di una condanna specifica.
3.2. La speciale tenuità del danno, attenuante applicabile per tutti i reati commessi a scopo di lucro o che comunque offendono il patrimonio, fa da contraltare all’aggravante di cui al n. 7) art. 61 e trova il suo fondamento della minore offesa arrecata al bene giuridico.
In tema di stupefacenti, alla qualificazione giuridica del fatto in termini di lie entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non consegue
automaticamente il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., essendo necessario accertare, a tal fine, che risultino di speciale tenuità sia l’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, sia la gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta criminosa (cfr. Sez. 3, n. 13659 del 16/02/2024 Ud. (dep. 04/04/2024) Rv. 286097 – 01).
Le doglianze difensive rivestono valenza puramente contestativa, non rilevando in particolare la qualificazione operata dal primo giudice secondo cui il quantitativo di sostanza era certamente di minima entità, atteso che, se è ben vero che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dall’art. comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499 – 02), è anche vero che nessun automatismo nel riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., consegue all qualificazione del fatto nell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’artt. 73 TU Stup.
Come infatti chiarito dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte nella richiamata decisione: (§ 16) “il riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta tuttavia affidato ad una puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, che dia consistenza sia all’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, che alla gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata. Dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico, esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare “proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito”.
Proprio tale precisazione impone di ritenere del tutto giustificato l’approdo valutativo dei giudici di appello che, come visto, proprio facendo leva sulla capacità del ricorrente di gestire una piazza di spaccio, hanno ritenuto difettasse “la speciale tenuità riferita al lucro perseguito, così come all’evento pericoloso”. Affermazione, questa, del tutto logica e compatibile non tanto con il quantitativo, quanto con il lucro (non certo minimo) perseguibile con la potenziale cessione della sostanza medesima, non certo qualificabile nei termini di “tenuità” nell’argomentare del Supremo Collegio, e con il giudizio di gravità dell’evento in senso giuridico, per come inteso dalle Sezioni Unite e correttamente interpretato dalla Corte d’appello.
3.3. Quanto, poi, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il giudizio della Corte d’appello non può essere sindacato. Ed infatti, i giudici territoriali ritengono l’imputato non meritevole di tali attenu evidenziando, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, che la
nneritevolezza di siffatte circostanze non può mai darsi per scontata o presunta, e che peraltro nel caso che occupa non ricorrono i presupposti per dette attenuanti, stante la mancanza di elementi positivi valutabili a favore dell’imputato , e la presenza di fattori altamente negativi, desumibili dalle caratteristiche della condotta posta in essere e dalle modalità di realizzazione.
3.4. La motivazione resa sul punto dai giudici territoriali non merita censura.
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (tra le tante: Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419 – 01). E, nella specie, i giudici di appello hanno valorizzato non solo e non tanto il dato ponderale dello stupefacente, ma anche la spregiudicatezza mostrata dagli imputati, tra cui l’attuale ricorrente, atteso che il ricorrente spacciava, pieno giorno, in luogo pubblico, dunque valorizzando il criterio direttivo di cui all’art. 133, comma primo, n. 1, cod. pen., ritenuto all’evidenza come assorbente rispetto agli altri fattori attenuanti richiamati dalla difesa.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025