Particolare tenuità del fatto: Non applicabile in caso di precedenti reati simili
L’istituto della particolare tenuità del fatto, disciplinato dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, escludendo la punibilità per reati di minima entità. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a precisi limiti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22204/2024) ribadisce un principio fondamentale: la presenza di precedenti penali per reati della stessa indole impedisce di accedere a tale beneficio. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Una persona, condannata nei primi due gradi di giudizio, presentava ricorso alla Corte di Cassazione, affidandosi a quattro motivi principali. I primi due motivi miravano a contestare la valutazione delle prove e la motivazione della sentenza d’appello, sostenendo una violazione di legge nella ricostruzione della sua responsabilità penale. I restanti due motivi, invece, si concentravano sulla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge su questo specifico punto.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Per quanto riguarda i primi due motivi, i giudici hanno evidenziato come le censure fossero, in realtà, un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove, un’attività preclusa in sede di legittimità. La Corte di Cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito, ma un giudice della corretta applicazione del diritto.
Il cuore della decisione, però, risiede nell’analisi degli ultimi due motivi, quelli relativi alla particolare tenuità del fatto. La Corte ha ritenuto tali motivi manifestamente infondati, confermando la linea già tracciata dalla Corte d’Appello.
Le Motivazioni: la particolare tenuità del fatto e il peso dei precedenti
La motivazione della Cassazione è chiara e diretta. I giudici hanno sottolineato che l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. è esclusa in presenza di determinate condizioni, tra cui la commissione di precedenti reati della stessa indole. Nel caso specifico, l’imputata risultava avere a carico ben quattro precedenti per truffa, lo stesso tipo di reato per cui si procedeva.
Questa circostanza, come correttamente evidenziato già dai giudici di merito, costituisce un “presupposto ostativo”, ovvero una barriera legale che impedisce categoricamente al giudice di concedere il beneficio della non punibilità. La ratio della norma è quella di riservare tale istituto a chi commette un illecito di lieve entità in modo del tutto occasionale, e non a chi dimostra una certa inclinazione a delinquere, seppur per fatti non gravi. La pluralità di reati della stessa natura indica una tendenza a reiterare il comportamento illecito, incompatibile con la finalità dell’istituto.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale ormai pacifico. La non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un’esenzione automatica per i reati minori, ma un beneficio condizionato a una valutazione complessiva della condotta dell’autore. La presenza di precedenti specifici è un indicatore decisivo che orienta il giudice verso il diniego. Questa decisione serve come monito: la legge distingue tra un errore occasionale e un comportamento seriale, e riserva il trattamento di favore solo al primo. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’analisi della fedina penale del proprio assistito è un passaggio cruciale e preliminare per valutare la possibile applicazione di questo istituto.
Quando non si applica la particolare tenuità del fatto?
Sulla base di questa ordinanza, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica quando l’imputato ha commesso in precedenza altri reati della stessa indole, poiché ciò costituisce un presupposto ostativo all’applicazione del beneficio.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito i fatti o le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, senza poter entrare in una nuova valutazione delle risultanze probatorie.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la persona che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22204 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22204 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Chieti il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 della Corte d’appello di L’Aquila dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo e il secondo motivo di ricorso, con i quali si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla prova posta a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputata, sono finalizzati ad ottenere, mediante censure in punto di fatto, una rivalutazione delle risultanze probatorie estranea al sindacato di legittimità e avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali già valorizzate dai giudici di merito con corretti argomenti logici e giuridici (si vedano, i particolare, le pagg. 3 e 4);
considerato che il terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali si censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sono manifestamente infondati dal momento che la commissione di precedenti reati della stessa indole (nella specie si trattava proprio di altre
quattro truffe) costituisce un presupposto ostativo all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., come congruamente evidenziato dalla Corte di merito a pag. 4;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 23 aprile 2024.