Particolare Tenuità del Fatto: Quando i Precedenti Penali Bloccano il Beneficio
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di non punire reati di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e incontra precisi limiti. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ribadisce con forza uno di questi paletti: l’abitualità del comportamento, desunta da precedenti penali specifici, impedisce l’accesso a tale beneficio.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza era la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. L’imputato sosteneva che il reato commesso, considerato singolarmente, avesse tutte le caratteristiche per rientrare nell’ambito dell’art. 131-bis c.p. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, i giudici avevano respinto tale richiesta.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni della Decisione: L’Ostacolo dell’Abitualità
Il cuore della decisione risiede nella motivazione con cui la Cassazione ha confermato il ragionamento dei giudici di merito. La Corte ha sottolineato come la valutazione sulla particolare tenuità del fatto non possa prescindere dall’analisi della condotta complessiva dell’autore del reato.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato la presenza di “plurimi precedenti specifici per reati della stessa indole”. Questi precedenti non costituivano un mero dato anagrafico, ma delineavano un quadro di “devianza non occasionale”. Secondo la Cassazione, questa valutazione è immune da vizi logici e, pertanto, non può essere riesaminata in sede di legittimità.
L’articolo 131-bis c.p. esclude esplicitamente l’applicazione del beneficio quando il comportamento è “abituale”. La giurisprudenza citata nell’ordinanza (tra cui Cass. pen., Sez. 2, n. 1/2017 e Cass. pen., Sez. 3, n. 43816/2015) ha consolidato il principio secondo cui una serie di precedenti condanne per reati simili è un indice forte di tale abitualità. La ratio della norma è chiara: il beneficio è pensato per chi commette un’infrazione lieve in modo isolato, non per chi dimostra una persistente inclinazione a violare la legge, anche se attraverso reati di modesta entità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre un importante monito: la fedina penale ha un peso determinante nella valutazione della particolare tenuità del fatto. Non è sufficiente che il singolo episodio criminoso sia di lieve entità. I giudici sono tenuti a compiere una valutazione più ampia, che include la personalità e la storia criminale del soggetto.
La decisione riafferma che l’istituto previsto dall’art. 131-bis c.p. non è una scorciatoia per l’impunità, ma uno strumento di ragionevolezza del sistema sanzionatorio, riservato a situazioni genuine di occasionalità e minima offensività. Per i soggetti con una storia di recidiva specifica, questa porta rimane, per espressa volontà del legislatore e costante interpretazione giurisprudenziale, saldamente chiusa.
Quando non si può applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo questa ordinanza, non si può applicare quando il comportamento dell’autore del reato è ritenuto abituale. Tale abitualità viene dimostrata dalla presenza di plurimi precedenti penali specifici per reati della stessa indole, che indicano una devianza non occasionale.
Avere precedenti penali impedisce sempre di ottenere il beneficio della particolare tenuità del fatto?
La pronuncia si concentra sulla rilevanza di “plurimi precedenti specifici per reati della stessa indole”. Ciò suggerisce che non è la mera esistenza di un precedente a precludere il beneficio, quanto piuttosto la reiterazione di condotte simili che configurano un comportamento abituale, condizione esplicitamente ostativa prevista dalla norma.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito nel provvedimento in base all’art. 616 c.p.p., la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7621 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7621 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VENOSA il 07/01/1984
avverso la sentenza del 08/03/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il motivo unico dedotto dal ricorrente COGNOME riferito alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è manifestamente infondato avendo la Corte di appello di Ancona fornito adeguata motivazione su tale punto, considerate le valutazioni espresse sia in punto di sussistenza dell’abitualità del comportamento che non possono dirsi affette da evidenti vizi logici e quindi non sono suscettibili di una diversa ed autonoma rivalutazione in sede di legittimità, in ragione dei plurimi precedenti specifici per reati della stessa indole che denotano una devianza “non occasionale”, (Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Rv. 268970; Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Rv. 265084; Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015, Rv. 264034);
rilevato che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.