Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32576 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32576 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA contro NOME NOME
avverso la sentenza del 08/04/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni delle parti
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il 6 aprile 2021 il Tribunale di Reggio Calabria aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del delitto di cui all’art. 624 bis cod. pen. perché, al fine di trarne profitto, si era introdotto nell’abitazione di NOME impossessandosi di 500 euro in monete e 70 euro in banconote. In Reggio Calabria il 31 gennaio 2017.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per violazione dell’ art. 606, comma 1 lett. b), in relazione agli artt. 157 e 159 cod. pen. La difesa ritiene che la Corte territoriale abbia erroneamente omesso di rilevare il decorso del termine massimo di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello. A ll’epoca del fatto , la fattispecie di cui al l’ art. 624 bis cod. pen. prevedeva la pena della reclusione da
uno a sei anni e della multa da 309 a 1.032 euro e, considerato che il decreto di citazione a giudizio è datato 18 dicembre 2017, da quella data era decorso il termine di sei anni prescritto per la maturazione del termine massimo. Il primo giudice, nell’affermare in sentenza che il termine di prescrizione era stato sospeso per 436 giorni, avrebbe erroneamente calcolato il periodo di sospensione in quanto il rinvio dell’udienza fissata per il 16 giugno 2020 a causa dell’emergenza pandemica non sospende integralmente il termine per 1 14 giorni fino all’udienza successiva. Con sentenza della Corte Costituzionale n.140 del 2021 è stata, infatti, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’ art. 83, comma 9, d.l. n.18/2020 nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7 lett. g) e in ogni caso oltre il 30 giugno 2020. L’udienza del rinvio, non essendo ricaduta nel periodo compreso tra il 9 marzo e l’11 m aggio 2020, non avrebbe determinato la sospensione per un periodo di 64 giorni. Non si sarebbe, dunque, potuto tenere conto del termine di sospensione di 114 giorni calcolato dal primo giudice. La Corte di appello non ha tenuto conto del fatto che l’ultimo atto interruttivo fosse il decreto di citazione a giudizio del 18 dicembre 2017, da cui decorreva il termine di sei anni, senza poter calcolare i termini massimi aumentati di 436 giorni.
Con il secondo motivo, deduce violazione dell’ art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’ art. 131 bis cod. pen. per carenza e contraddittorietà della motivazione. La Corte territoriale ha fornito una motivazione apparente ricorrendo sul punto a mere formule di stile e richiami giurisprudenziali, senza rappresentare le ragioni che hanno indotto i giudici a non ritenere il fatto dotato dei requisiti prescritti dalla fattispecie di cui a ll’ art. 131 bis cod. pen. Inoltre, la Corte territoriale, nel richiamare le concrete modalità della condotta, ha omesso di considerare che il giudice di primo grado, proprio sulla scorta delle concrete modalità della condotta, ha riconosciuto l’assoluta tenuit à del fatto applicando le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante di cui a ll’ art. 62, n.4 cod. pen., attenendosi al minimo edittale previsto dall’ art. 624 bis cod. pen. per il modesto disvalore della condotta e per il fatto che l’imputato si è scusato, giustificando la condotta asserendo di avere problemi economici; in ragione dell’oggettiva modesta gravità della condotta è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena. Nel descrivere la condotta, la Corte ha travisato un dato probatorio, dichiarando che dalla visione delle immagini «si notava un soggetto che entrava nell’abitazione utilizzando una chiave custodita dietro la porta e si recava direttamente nel luogo dove i soldi erano custoditi» sebbene tale circostanza non sia mai emersa dall’istruttoria dibattimentale, che ha consegnato il diverso dato dell’ingresso mediante forzatura delle veneziane, sfruttando il fatto che la porta finestra fosse stata lasciata aperta. Tale dato
dimostra come la Corte territoriale abbia analizzato in maniera non adeguata il materiale probatorio.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria e nota spese concludendo per il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria di replica, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il reato, commesso il 31 gennaio 2017, era all’epoca punito con la pena massima di sei anni per cui, considerando ai sensi dell’art. 160, comma 1, cod. pen. (applicabile ai reati commessi sino al 31 dicembre 2019 ai sensi dell’art. 1, comma 2, legge 9 gennaio 2019, n.3) l’atto interruttivo della sentenza di primo grado, datata 6 aprile 2021, in base al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen. il termine massimo di prescrizione non poteva superare i sette anni e sei mesi, che sarebbero decorsi alla data del 30 giugno 2024. A tale periodo vanno aggiunti i periodi di sospensione del corso della prescrizione, indicati dal primo giudice, escludendo il periodo di sospensione relativo all’emergenza pandemica, in 196 giorni dal 3 dicem bre 2019 per adesione dei difensori all’astensione dalle udienze proclamata dall’RAGIONE_SOCIALE e in 126 giorni dal 1 dicembre 2020 per l’esame dell’imputato, ossia per complessivi 322 giorni, tali da prorogare la scadenza del termine al 18 maggio 2025, ossia in data successiva alla pronuncia della sentenza di appello, datata 8 aprile 2025.
Correttamente, dunque, il giudice di appello ha escluso la prescrizione del reato, indipendentemente dal computo del periodo di sospensione relativo all’emergenza pandemica.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale ha esaustivamente illustrato le ragioni del diniego della causa di esclusione della
punibilità prevista dall’ art. 131 bis cod. pen., sottolineando come la particolare tenuità del fatto dovesse essere negata in quanto la persona offesa era stata lesa nella sua sfera più intima su iniziativa di una persona che godeva della sua fiducia. Tale valutazione non contrasta con gli argomenti svolti dalla sentenza di primo grado a sostegno della scelta del trattamento sanzionatorio e della sospensione condizionale della pena e tende a evidenziare come, indipendentemente dagli elementi valorizzati per esprimere il giudizio discrezionale ai fini dell’ art. 133 cod. pen. e il giudizio prognostico ai fini dell’art. 164 cod. pen., le peculiarità della condotta, per quanto connotata da modesto disvalore, non fossero tali da giustificare l’esclusione della punibilità.
Per tali ragioni il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, con conseguente preclusione di ogni possibilità di far valere l’intervenuta prescrizione del reato (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 -01).
Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost. n. 186/2000).
In tema di spese processuali, la liquidazione di quelle sostenute dalla parte civile è condizionata alla sussistenza di un interesse civile tutelabile e, pertanto, non può essere disposta nel giudizio di impugnazione che abbia a oggetto esclusivamente questioni inerenti al proscioglimento in rito dall’accusa, non incidendo tale tipo di pronuncia sulla condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Con riguardo alla questione della prescrizione del reato, è sufficiente richiamare la disciplina dettata dall’art. 578 cod. proc. pen. Con riferimento alla disciplina dell’art. 131 bis cod. pen., va, invece, ricordato che «In tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 2022, il giudice che emette sentenza ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. è tenuto a pronunciarsi sulla domanda di restituzione o risarcimento presentata dalla parte civile e l’accoglimento di essa costituisce il presupposto necessario e sufficiente per la liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile» (Sez. 6, n. 50235 del 21/11/2023, Terranova, Rv. 285671 -01). Ne deriva la logica considerazione secondo la quale il ricorso con il quale l’imputato abbia chiesto il riconoscimento della particolare tenuità del fatto nell’ambito di un giudizio nel qu ale, come nel caso in esame, la liquidazione del danno è stata effettuata dal giudice penale, sia idoneo a incidere sul diritto della parte civile al risarcimento e alle restituzioni determinando l ‘ interesse di tale parte a contraddire.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge. Così è deciso, 23/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME