Particolare tenuità del fatto: quando non si applica alla violazione del DASPO
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato il tema della particolare tenuità del fatto in relazione alla violazione di un DASPO urbano. La decisione chiarisce che la valutazione della gravità del reato non può limitarsi al dato formale, ma deve considerare il pericolo concreto generato dalla condotta. Questo principio si rivela fondamentale per comprendere i limiti di applicabilità dell’art. 131-bis del codice penale, specialmente quando sono in gioco misure di prevenzione volte a tutelare la sicurezza pubblica.
I Fatti del Caso: Violazione del DASPO e Giustificazioni Inconsistenti
Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per aver violato le prescrizioni di un DASPO urbano. La misura di prevenzione gli impediva di accedere a una determinata via della città. Sorpreso in flagrante, l’uomo si era giustificato sostenendo di dover semplicemente attraversare la strada per andare a prendere i figli a scuola.
Tuttavia, questa versione è stata smontata da due elementi chiave:
1. Le annotazioni della polizia giudiziaria: gli agenti avevano constatato che l’uomo non stava semplicemente attraversando, ma stazionava nella via vietata.
2. L’orario del controllo: il controllo era avvenuto alle 10 del mattino, un orario palesemente incompatibile con l’uscita degli studenti da scuola.
La Corte d’Appello aveva quindi confermato la condanna, pur riducendo la pena, escludendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La questione giuridica e la particolare tenuità del fatto
Il ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione lamentando proprio la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. A suo avviso, la condotta era da considerarsi di minima offensività e, pertanto, non punibile. La questione centrale sottoposta alla Suprema Corte era quindi stabilire se, e a quali condizioni, la violazione di una misura di prevenzione come il DASPO possa essere considerata un fatto di particolare tenuità.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni della difesa non erano idonee a scalfire la logicità e la correttezza giuridica della sentenza d’appello. Il ricorso, infatti, si traduceva in una richiesta di rivalutazione del merito dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha ribadito un principio fondamentale per l’applicazione della particolare tenuità del fatto: il giudice deve compiere un apprezzamento complessivo sulla gravità dell’illecito. Questo implica considerare se la condotta abbia generato un “contesto concretamente e significativamente pericoloso”.
Nel caso specifico, la violazione del DASPO non è stata vista come una mera disobbedienza formale. La presenza dell’individuo in un’area a lui interdetta per motivi di sicurezza ha minato la finalità stessa della misura preventiva. La giustificazione fornita, oltre ad essere stata smentita dalle prove, non poteva essere considerata valida. Il provvedimento del Questore, infatti, imponeva all’interessato di utilizzare percorsi alternativi per le sue necessità.
La Corte ha dunque concluso che la condotta dell’imputato, valutata nel suo contesto, non poteva essere considerata tenue, poiché aveva concretamente messo a rischio i beni giuridici che il DASPO intendeva proteggere.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento restrittivo sull’applicazione dell’art. 131-bis c.p. ai reati che violano misure di prevenzione. Le conclusioni che possiamo trarre sono due:
1. La valutazione non è solo formale: Per stabilire la tenuità del fatto, non basta guardare all’azione in sé, ma bisogna analizzare l’impatto concreto che essa ha avuto, soprattutto in termini di pericolo.
2. Le giustificazioni devono essere credibili: Fornire scuse palesemente infondate o contraddette dalle prove non solo non aiuta la difesa, ma può essere interpretato come un ulteriore elemento a sfavore nella valutazione della gravità della condotta.
In definitiva, la violazione di un DASPO urbano difficilmente potrà beneficiare della non punibilità per particolare tenuità se la presenza del soggetto nell’area vietata è in grado di generare anche solo un potenziale pericolo per la sicurezza pubblica.
È possibile applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a una violazione del DASPO urbano?
In linea di principio sì, ma la sua applicazione è esclusa se il fatto illecito, pur formalmente minore, ha generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso. Il giudice deve valutare la gravità complessiva della condotta, andando oltre la mera disobbedienza formale.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una nuova valutazione dei fatti (come la validità della giustificazione fornita), un’attività preclusa alla Corte di Cassazione, la quale si limita a giudicare la corretta applicazione della legge e non può riesaminare il merito della vicenda.
Quale criterio ha usato la Corte per escludere la “particolare tenuità del fatto” nel caso specifico?
La Corte ha ritenuto decisiva la valutazione del pericolo concreto generato dalla condotta. La violazione delle prescrizioni del DASPO, unita a giustificazioni non valide e contraddette dai fatti (come l’orario del controllo incompatibile con l’uscita da scuola), ha integrato un illecito non tenue perché ha minato la finalità di prevenzione della misura imposta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21075 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21075 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 11/11/1971
avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che, con sentenza del 17 settembre 2024, la Corte di appello di Palermo ha confermato – rideterminando la pena in diminuzione – la sentenza di primo grado, resa all’esito di giudizio abbreviato, che aveva condannato Torres Maurizio per il reato di cui all’art. 10, comma 3, del d.l. 20 febbraio 2017, n. 1 convertito dalla legge n. 48 del 2017, e che quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 131bis cod. pen. e vizi della motivazione in ordine all’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che la difesa censura elementi già adeguatamente vagliati e disattesi, con corretti argomenti giuridici di merito, laddove la Corte di appello evidenzia come i doveroso apprezzamento in ordine alla gravità del fatto illecito connesso all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. impone di considerare se il fatto illec abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati (pag. 3 della sentenza);
che nel caso di specie il Torres ha violato le prescrizioni impostegli senza fornire alcuna valida giustificazione, limitandosi ad affermare di star attraversando la strada con lo scopo di prendere i propri figli a scuola; fatt quest’ultimo, sconfessato non solo dalle annotazioni della polizia giudiziaria secondo cui egli stazionava in INDIRIZZO ma anche dall’incompatibilità dell’orario del controllo (ore 10 del mattino) con un eventuale uscita dei figli scuola;
che il provvedimento del Questore imponeva di usufruire, in caso di necessità, di tragitti alternativi rispetto a quello cui era rivolto il DASPO urbano;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
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Così deciso in Roma, il 281dicembre2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente