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Particolare tenuità del fatto: la guida della Cassazione

Un automobilista, condannato per guida in stato di ebbrezza aggravata da un incidente stradale, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Suprema Corte ha respinto questa richiesta, sottolineando che la valutazione deve basarsi sulla pericolosità concreta della condotta e non solo sugli elementi tipici del reato. Tuttavia, ha annullato la sentenza con rinvio per la parte relativa alla determinazione della pena, poiché la Corte d’Appello non aveva motivato né la quantificazione della sanzione né il diniego delle attenuanti generiche.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare tenuità del fatto: i limiti applicativi secondo la Cassazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 26546 del 2024, offre importanti chiarimenti sui criteri per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, specialmente in contesti complessi come la guida in stato di ebbrezza con conseguente incidente stradale. La pronuncia ribadisce la necessità di una valutazione complessiva e concreta della condotta, andando oltre i soli elementi costitutivi del reato, e sottolinea l’irrinunciabile obbligo di motivazione del giudice in tema di quantificazione della pena.

I Fatti del Caso: Incidente e Stato di Ebbrezza

Il caso ha origine da un sinistro stradale avvenuto in orario serale. Un automobilista, risultato positivo al test alcolemico con una concentrazione di 1,3 g/l, perdeva il controllo del proprio veicolo. L’auto sfondava la recinzione di una proprietà privata e danneggiava un palo delle telecomunicazioni. A seguito di ciò, l’uomo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato dall’aver provocato un incidente, ai sensi dell’art. 186, commi 2 lett. c) e 2-bis, del Codice della Strada.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso alla Suprema Corte, articolandolo su tre motivi principali:
1. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che i giudici di merito avessero negato il beneficio basandosi esclusivamente sugli elementi tipici del reato aggravato (lo stato di ebbrezza e l’incidente), senza una valutazione più ampia.
2. Un’ulteriore critica alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., evidenziando elementi che, a dire della difesa, dimostravano la non particolare gravità del fatto, come l’effetto di un farmaco antidolorifico sul tasso alcolemico.
3. La totale assenza di motivazione da parte della Corte d’Appello sia sulla concreta determinazione della pena (irrogata in misura superiore al minimo), sia sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.

L’Analisi della Corte e la particolare tenuità del fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito di non applicare la causa di non punibilità. Gli Ermellini hanno richiamato i principi consolidati, secondo cui il giudizio sulla particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e sinottica di tutti gli indicatori previsti dalla norma: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo e il grado di colpevolezza.
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato la particolare pericolosità della condotta, che si era manifestata in un orario serale, con un urto con un altro veicolo e con danni significativi a proprietà di terzi. Questi elementi concreti, secondo la Cassazione, impedivano di qualificare l’offesa come particolarmente tenue, rendendo irrilevanti le argomentazioni della difesa sulla velocità o sull’effetto di farmaci.

La Decisione sulla Pena: l’Obbligo di Motivazione

Il terzo motivo di ricorso è stato invece ritenuto parzialmente fondato. La Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva completamente omesso di motivare la sua decisione sulla quantificazione della pena, che era stata fissata al di sopra del minimo edittale, e sul diniego delle attenuanti generiche, nonostante un esplicito motivo di appello su questo punto. Questo vizio di motivazione ha portato all’annullamento della sentenza limitatamente a questi aspetti.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un duplice binario. Da un lato, riafferma un principio di rigore nella valutazione della particolare tenuità del fatto: non è sufficiente che il reato si collochi nella fascia più bassa di gravità prevista dalla legge, ma è necessaria una disamina di tutte le circostanze del fatto storico per concludere che l’offesa al bene giuridico protetto sia stata minima. La pericolosità concreta della guida in stato di ebbrezza, manifestatasi con un incidente e danni rilevanti, costituisce un elemento ostativo all’applicazione del beneficio. Dall’altro lato, la Corte riafferma un fondamentale principio di garanzia processuale: il giudice ha il dovere di spiegare le ragioni delle sue decisioni sanzionatorie. L’imputato ha diritto di sapere perché gli è stata inflitta una determinata pena e perché non gli sono state riconosciute le attenuanti. L’assenza di motivazione su questi punti cruciali rende la sentenza illegittima e ne impone l’annullamento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti lezioni. In primo luogo, l’istituto della particolare tenuità del fatto non è un meccanismo automatico di depenalizzazione per reati minori, ma uno strumento che richiede un’attenta e completa valutazione del caso concreto da parte del giudice. La pericolosità effettiva della condotta rimane un criterio centrale, soprattutto in reati come la guida in stato di ebbrezza. In secondo luogo, viene ribadita l’importanza dell’obbligo di motivazione come pilastro del giusto processo. Anche quando la responsabilità penale è accertata, la determinazione della pena deve essere un atto trasparente e giustificato, non una decisione arbitraria del giudice. Per l’imputato, la condanna è irrevocabile, ma la quantificazione della pena dovrà essere riconsiderata e, soprattutto, motivata dal giudice del rinvio.

Quando è possibile applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla guida in stato di ebbrezza?
È applicabile solo quando, da una valutazione complessiva di tutte le circostanze concrete (modalità della condotta, entità del danno o del pericolo, grado di colpevolezza), l’offesa al bene giuridico tutelato (la sicurezza della circolazione) risulti minima. La sola presenza di un tasso alcolemico nella fascia più bassa non è sufficiente se la condotta è stata concretamente pericolosa.

Perché la Corte di Cassazione ha escluso la particolare tenuità del fatto in questo caso?
Perché la condotta dell’imputato è stata ritenuta di particolare pericolosità. Gli elementi decisivi sono stati l’aver causato un incidente in orario serale, l’aver urtato un’altra vettura e aver provocato seri danni a beni di terzi (recinzione e palo della Telecom). Questi fattori, nel loro insieme, hanno impedito di considerare l’offesa come tenue.

Il giudice è sempre obbligato a spiegare perché ha scelto una certa pena?
Sì. Secondo la sentenza, il giudice deve sempre motivare la concreta dosimetria della pena, soprattutto quando la irroga in misura superiore al minimo previsto dalla legge. Deve inoltre spiegare le ragioni del diniego di circostanze attenuanti generiche, se richieste dalla difesa. La totale assenza di motivazione su questi punti costituisce un vizio della sentenza che ne causa l’annullamento parziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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