Particolare tenuità del fatto: la durata dell’illecito può escludere il beneficio?
L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131 bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale di deflazione processuale e di proporzionalità della sanzione. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della condotta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la durata prolungata di un reato possa essere un elemento decisivo per escludere tale beneficio. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso: Un’Occupazione Prolungata
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata nei primi due gradi di giudizio per un reato di occupazione illecita. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali: il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
L’elemento centrale della vicenda era la durata dell’occupazione, che si era protratta per un lungo arco temporale, dal 2013 al 2018. Proprio questo fattore è stato al centro delle valutazioni dei giudici di merito e, successivamente, della Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte sulla particolare tenuità del fatto
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno smontato entrambi i motivi di ricorso presentati dalla difesa, offrendo spunti interpretativi di grande rilevanza pratica.
Il Primo Motivo: La Durata dell’Illecito come Indice di Gravità
La difesa sosteneva che il reato dovesse essere considerato di lieve entità, meritando così l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. La Cassazione ha respinto questa tesi, qualificando il motivo di ricorso come una semplice e ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già esaminati e motivatamente respinti in appello. Secondo la Corte, un ricorso, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse difese.
Nel merito, i giudici hanno ritenuto pienamente logica e corretta la motivazione della Corte d’Appello, la quale aveva escluso la particolare tenuità del fatto proprio in ragione della considerevole durata dell’occupazione. Una condotta illecita che si protrae per cinque anni non può, secondo la Corte, essere considerata ‘tenue’, poiché la sua persistenza nel tempo ne accresce la gravità complessiva.
Il Secondo Motivo: Il Diniego delle Attenuanti Generiche
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è stato giudicato manifestamente infondato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, il giudice di merito non è obbligato a prendere in esame e a confutare ogni singolo elemento favorevole all’imputato. È sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti per la sua decisione, i quali, implicitamente, superano e assorbono tutti gli altri.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. In primo luogo, un principio di carattere processuale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riproporre le medesime questioni di fatto. Esso deve censurare vizi di legittimità della sentenza impugnata. Un ricorso che si limita a ripetere le doglianze d’appello è, per definizione, inammissibile.
In secondo luogo, un principio di carattere sostanziale: la valutazione sulla particolare tenuità del fatto non può prescindere da indicatori come la durata della condotta. La persistenza nel tempo di un comportamento antigiuridico è un indice dimostrativo dotato di ‘gravità ed univocità’ che, in assenza di elementi contrari, giustifica pienamente l’esclusione del beneficio di cui all’art. 131 bis c.p. La Corte d’Appello ha correttamente utilizzato questo criterio, rendendo la sua decisione immune da censure di illogicità.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è di natura processuale: per avere successo in Cassazione, un ricorso deve essere specifico e criticare puntualmente le argomentazioni della sentenza di secondo grado, non limitarsi a una sterile ripetizione. La seconda è di natura sostanziale: la durata di un reato è un fattore cruciale nella valutazione della sua gravità. Anche un illecito che, considerato isolatamente, potrebbe apparire minore, acquista un disvalore significativo se protratto nel tempo, rendendo difficile l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Perché è stata negata l’applicazione della particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto che la lunga durata dell’occupazione illecita, protrattasi dal 2013 al 2018, costituisse un indice di gravità tale da escludere la non punibilità, poiché una condotta così persistente non può essere considerata ‘tenue’.
Per quale motivo il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a una ‘pedissequa reiterazione’ degli stessi motivi già presentati e respinti in appello, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.
Nel negare le attenuanti generiche, il giudice deve esaminare tutti gli elementi a favore dell’imputato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente che il giudice faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti per la sua decisione, senza essere tenuto a considerare e confutare analiticamente ogni singolo elemento favorevole dedotto dalle parti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4208 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4208 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 28/01/1991
avverso la sentenza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME ritenuto che il motivo di ricorso che contesta la violazione di legge in relazione alla causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che con motivazione congrua e priva di illogicità, la Corte d’appello ha ritenuto che debba escludersi l’applicazione dell’invocata causa di esclusione della punibilità in ragione della durata dell’occupazione, protrattasi dal 2013 al 2018;
peraltro l’aver individuato l’inizio della condotta illecita dal periodo oggetto di autodenuncia non sconta alcun profilo di presunzione rigida, bensì costituisce un’ indice dimostrativo dotato di gravità ed univocità del tutto continente, in assenza di elementi distonici, rispetto alla durata dell’occupazione per come ritenuta dai giudici di merito;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza di una motivazione esente da evidenti illogicità (si veda pag. 3 della sentenza impugnata), anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decis o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (ex multis Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024
Il Consigliere COGNOME n so re COGNOME
Il Presidente