Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8677 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8677 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a DOLO il 30/07/1978
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 14 dicembre 2023 la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia del Tribunale di Padova del 25 gennaio 2023 con cui NOME NOME era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda in ordine al reato di cui all’art. 186, commi 2 lett. c) e 2bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due distinti motivi: vizio di motivazione e violazione di legge in ordine all’omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.; violazione di legge e vizio motivazione in ordine al mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche in giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima censura, deve essere osservato come la norma che si assume violata preveda, quali condizioni applicative (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità d comportamento. Si richiede, pertanto, al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133, primo comma, co pen., sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con quest coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (cfr., in questi termini, Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv.265449-01).
Senza ampliare il tema oltre quanto strettamente attinente al caso concreto, risulta, dunque, alla luce di quanto sopra, che tutti gli indici indica nella sentenza impugnata siano elementi correttamente evidenziati dal giudice di merito (cfr., in particolare, pp. 4 e s.) per negare la possibilità di sussunnere fatto oggetto di esame nell’ipotesi disciplinata dall’art.131-bis cod. pen.
2.2. In ordine, poi, alla seconda doglianza, deve essere osservato come la Corte di appello abbia ben rappresentato e giustificato, in punto di diritto, le ragioni per cui ha ritenuto di negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. all’imputato in giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze
processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (cfr. p. 5 dell sentenza impugnata).
A tale proposito, infatti, è sufficiente fare richiamo al consolidato principi espresso da questa Corte di legittimità, per cui le statuizioni relative al giudizio d comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr., i questi termini: Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450-01; Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente